Poi un giorno, senza un motivo particolare, vedo la strada che ho percorso e chiedo a me stesso cosa mi abbia portato fin qui. Non tanto un bilancio fra cose azzeccate e cose disastrose, ma più che altro la definizione di una sequenza di “ripartenze”, dove nulla si sottrae e tutto si somma.
Una linea temporale molto incasinata, non c’è che dire, ma la sua cifra confortante si trova sulla stessa prospettiva suggerita da Nietzsche: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.
In un certo senso, è questo gioco di forze in continua mutazione a rimettere sempre in discussione il traguardo. Non si arriva mai e, di conseguenza, anche la linea di partenza è pressoché indefinita o, se si vuole, mai completamente coincidente con lo zero. Nel bene e nel male è sempre un avvio lanciato.
Per questa ragione, dentro a ogni esperienza negativa c’è un’inerzia di opportunità. Quello che si perde fa vedere, al di là dello status quo, una miriade di altre possibilità e, soprattutto, ci costringe a comprendere come il “destino cinico e baro” non sia affatto un oggetto di natura, ma una costruzione del tutto umana.
L’improvvisazione non esiste
La “folgorazione sulla via di Damasco” fa pensare a un cambiamento istantaneo e scollegato dallo spazio e dal tempo, ma in realtà è sempre la risultante di connessioni che, per effetto della loro ripetizione continua, a un certo punto incrociano un’idea dormiente (forse, più che altro, una specie di impronta da svelare), sepolta sotto una coltre di luoghi comuni.
Lo stesso Pablo Picasso ha “inventato” il cubismo attingendo a piene mani dalle raffigurazioni tipiche delle maschere tribali africane. Queste ultime esistevano da chissà quanto tempo, ma le traiettorie esperienziali e caotiche del geniale artista spagnolo gli hanno permesso di vedere dentro quei simulacri una “nuova arte”.
In un certo senso abbiamo tutti la dotazione necessaria per essere degli artisti. È l’allenamento a pensare fuori dagli schemi che crea l’innovazione e questa si affina collegando esperienze che si trovano su piani diversi, sintetizzando l’essenziale cristallizzato nell’invisibile, mettendo in pratica, anche fallendo più volte, tutta la conoscenza accumulata.
Il magico potere del “no”
Sappiamo che il “no” ha il potere di bloccare, anche quando lo occultiamo. “Ci penso”, hai già pensato di no, “Non so se riesco a venire”, non vieni, “Non so se ce la farò”, non ce la farai.
È la profezia che si auto-avvera, cioè qualcosa di falso o, comunque, non attentamente verificato, che diventa vero nelle sue conseguenze. Ecco allora che invochiamo il caso, l’ingiustizia, la sfortuna, senza accorgerci che tutto lo sconquasso è avvenuto unicamente dentro la nostra testa.
C’è però una possibilità che ci fa crescere. O, meglio, due.
La prima. Molto meglio dire un “no” deciso piuttosto che un “sì, però”.
La seconda. Abbinare al “no” un’alternativa, ovvero dire “no” senza dire “no”. “La tua proposta così com’è non mi convince, ma con qualche aggiustamento potrebbe diventare interessante”, “Non riesco a venire questa sera, ma ti propongo di vederci domani o dopodomani”, “È molto difficile che ci riesca, ma posso impegnarmi a iniziare”.
La passione è importante, ma è l’amore che ci fa vincere
Seguire la passione è importante, ma è l’amore che dà la forza di continuare anche quando le circostanze si fanno ostili. In questi casi, la passione si accontenta del risultato fin lì ottenuto, l’amore no.
In un certo senso, la passione cerca di legare insieme il successo e la soddisfazione. Quasi a delimitare uno sfondo in cui il raggiungimento di un obiettivo si traduce nel corrispettivo appagamento.
Ma siamo davvero sicuri che gli scopi e i risultati si possano incasellare dentro un sistema di inizio-fine? Oppure, è più realistico pensare a un processo senza fine?
Se da un lato la passione “ragiona” secondo una logica di destinazione, l’amore è il viaggio che ci fa godere di ogni piccolo dettaglio che incontriamo lungo la nostra strada.
Foto di Everton Vila