Rimango sempre piuttosto interdetto quando sento dire dai partecipanti ai miei corsi di formazione che non sono felici. Si tratta in larga parte di ventenni che stanno cominciando a prendere dimestichezza con le “cose della vita”: un progetto di famiglia, un lavoro, un’idea di crescita.
Al netto dell’atavico malessere tipico della giovane età (anche a noi, quando avevamo la loro età, il mondo ci stava molto stretto), c’è da dire che le prospettive odierne fanno vedere il futuro più come un qualcosa che ci cadrà rovinosamente addosso, invece di un luogo migliore che possiamo costruire.
Se da una parte tutto appare al di fuori delle possibilità di trasformazione da parte del singolo (guerre, riscaldamento globale, congiuntura economica), la conseguente inazione non può far altro che generare ulteriore sconforto. Tuttavia, va anche detto che storicamente non sarebbe avvenuta alcuna trasformazione significativa se i nostri predecessori non avessero applicato il precetto gandhiano secondo il quale il cambiamento del mondo inizia dentro ciascuno di noi.
Ora, la questione diventa interessante, anche in termini didattici, nel momento in cui rilancio chiedendo agli “infelici” cosa stiano facendo per sbloccare il loro percorso verso la felicità.
Che cos’è la felicità?
È ovvio che per imbastire una risposta è necessario, prima di tutto, chiarire che cosa si intende per felicità. Nonostante la sua natura squisitamente soggettiva, mi accorgo che emergono sistematicamente tre livelli su cui convergono gran parte delle considerazioni:
- la felicità è uno stato non persistente, quindi non ha niente a che fare con la personalità delle persone che, come è naturale pensare, si cristallizza secondo dinamiche di lunga durata e pressoché permanenti;
- la felicità è un piacere che viene spesso confuso con la gioia, ma a differenza di quest’ultima ha una natura meno viscerale e sensoriale;
- la felicità è in larga parte uno stato mentale, una sorta di ricerca continua del significato racchiuso in noi stessi.
Senza arrivare a conclusioni affrettate, è soprattutto questa terza e ultima riflessione a svelarci la gabbia che ci tiene prigionieri. Accumulare pensieri senza dare udienza al corpo e alla mente, ci porta dritti dritti dentro il cortocircuito delle preoccupazioni. È come se il momento presente non esistesse più, sopraffatto ogni volta da qualcosa che è lontano, sfumato, incerto e comunque inesistente nel qui ed ora.
È frequente come in questi dialoghi emerga spesso l’idea del “sarò felice quando…” e del “sarò felice se…”, rinviando questo stato di “leggerezza” al momento in cui si troverà il partner perfetto, il lavoro ideale, le condizioni economiche più soddisfacenti. Ma per come siamo fatti noi esseri umani, ci adattiamo continuamente alle nuove circostanze e, una volta raggiunte, le diamo per scontate. Per questo rinviamo continuamente la felicità al prossimo nuovo obiettivo, dimenticandoci di godere di ciò che abbiamo già.
Ma in tutto questo c’è un altro risvolto assai pericoloso, ovvero quello di considerare la felicità come un prodotto dell’attesa. Cioè, aspettare che qualcuno o qualcosa ci renda felici. Non esiste il mercato della felicità, ma solo l’essere se stessi e non pensare a come dovremmo apparire agli occhi degli altri.
Cercare la felicità fuori di noi è come aspettare il sorgere del sole in una grotta rivolta a nord. (Antico proverbio tibetano)
Pertanto, è fondamentale ascoltarsi. Alla fine dei conti, significa avere la possibilità di riformulare i propri pensieri in termini positivi. Va da sé che questo approccio non deve essere di superficie (tipo: ignoro le percezioni negative e sono a posto), ma deve tendere a cogliere gli schemi del nostro pensare per trovare i punti di debolezza che non ci permettono di vincere la sfida.
Per esempio, mi capitava spesso di non avere per niente voglia di andare a fare la mia blanda oretta di jogging, fino al giorno in cui ho capito che occorreva invertire la polarità della questione. Quando l’indolenza si impossessa di noi, il nostro apparato cognitivo ci sta semplicemente dicendo che abbiamo il massimo bisogno di fare proprio in quel momento quella determinata cosa. E quanta felicità ci pervade una volta che abbiamo completato il compito?
Così facendo, a cominciare dalle piccole cose, la vita prende una direzione e acquisisce senso, scopo, significato.
Foto di Alex Alvarez