Anno nuovo, vita nuova. È l’auspicio che (ci) facciamo ad ogni Capodanno, almeno da quando siamo entrati nell’età della ragione. A dire il vero, per darsi “una mossa” non è obbligatorio aspettare le orbite terrestri, tutti i giorni sono buoni.
Forse, è proprio perché rimandiamo continuamente “gli inizi” che viviamo come un momento terribile l’attacco di una relazione, di un discorso, di una presentazione. Tutte le volte ci facciamo trovare impreparati e ci rifugiamo nella più stereotipata delle frasi “È un piacere essere qui…”, preceduta da qualche rassicurante (!?) colpetto sul microfono.
La verità è che il pubblico giudicherà noi, e quello che diremo, dalle nostre prime frasi. Una faccenda che si misura in secondi.
Riflettiamo. Se il nostro avvio è titubante e incerto, le persone che abbiamo di fronte potranno mai avere fiducia in noi? Certo che no! La fiducia ha un potere contagioso: dimostriamo sicurezza e riceviamo consenso (“Quel tipo sa il fatto suo…”).
Siccome parlare in pubblico molto spesso non è la nostra professione, anzi ci tocca farlo controvoglia di tanto in tanto per “onore di firma”, la prima cosa che ci viene in mente è quella di vestire i panni di qualcun altro. Ovvero, assumere stili e movenze che non ci appartengono. Vi svelo un trucco: quando non siamo noi stessi si vede lontano un miglio.
L’originale è sempre meglio della copia
Prima di preoccuparci delle cose da dire, di come reagirà il pubblico e di quale colore dovrà essere la cravatta che indosseremo, concentriamoci sulla nostra autenticità.
In sostanza, si tratta di una questione di connessione. Qualcosa che riguarda la messa a fuoco del nostro respiro. Un breve esercizio ritmico bocca-naso-polmoni ci fa “sentire” il nostro baricentro nel mondo e allontana il dubbio, il panico, la paura. Sia chiaro, si tratta di stati emotivi che anche i professionisti avvertono quando devono affrontare una platea. La differenza è che loro riescono a gestirli e a dominarli, anzi li trasformano addirittura in energia positiva.
Le parole sono importanti, le prime soprattutto
Quando non sappiamo da quale parte cominciare, ci lasciamo catturare dalla rete dei luoghi comuni:
- “Grazie per l’invito…”
- “Non vi ruberò molto tempo…”
- “Spero che non vi annoierete…”
Lo capirebbe anche un bambino che in quelle frasi non c’è la benché minima carica emotiva. L’inizio di un discorso è una sorta di decollo. Per questo, è il momento in cui dobbiamo dare tutto motore.
Una domanda provocatoria è sempre un bel trampolino per catturare l’attenzione fin da subito:
Perché ci sono persone che sembra abbiano la giornata fatta da 48 ore?
Oppure, giocare la carta della curiosità:
Nei prossimi venti minuti, la durata del mio intervento, 19 italiani moriranno a causa di patologie legate al fumo
Non vi sembra un bell’inizio per una conferenza sugli stili di vita salutistici?
Un altro spunto è quello che fa leva sulla considerazione inattesa:
Siete seduti vicino a due persone, una di queste è bugiarda
Infine, la costruzione di un’immagine vivida nella mente del pubblico:
Pensate a un regalo che vi farebbe piacere ricevere, grande come… una pallina da ping-pong
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Il comune denominatore consiste nel connettersi con il pubblico attraverso meccanismi che stimolano l’interazione, anche solo mentale.
Pare lo scrivesse Oscar Wilde: “Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”. Una ragione in più per innestare nei nostri discorsi una partenza pirotecnica.
Buongiorno Sergio,
quanto mi piace questo argomento e quello che scateni dentro un comunicatore come, a mio modo, sono io !
ecco i punti che mi hanno colpito su cui ho riflettuto
1) Dimostriamo sicurezza, riceviamo consenso
2) Quando non siamo noi stessi si vede lontano un miglio
3) L’originale è sempre meglio della copia
4) Non c’e’ una seconda occasione per fare una buona prima impressione
Grazie e a presto !!!
Fabio
Fabio, grazie a te!
Se propio non si ha pronta la frase ad effetto….si può fare il botto lanciando caramelle sul pubblico