“Le mie canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole”, questo ritornello di Vasco Rossi mi balza sempre in mente tutte le volte che mi metto a scrivere un post per il blog.
Fuori da ogni possibile equivoco, l’improvvisazione (almeno quella comunemente intesa) non c’entra nulla. Anzi, è sicuramente vero che ci vuole parecchio tempo per preparare qualcosa di improvvisato.
Che si tratti di un discorso “a braccio” o di un articolo scritto “di getto”, il substrato su cui vengono generati entrambi è costituito da una fitta rete di connessioni fra idee, pulsioni e intuizioni. Una sorta di magazzino mentale in cui vengono depositati frammenti di ogni tipo, i quali, una volta sollecitati, si attivano ed entrano in relazione fra loro.
Con gli strumenti che abbiamo a disposizione, è diventato tutto molto più semplice. Quello che un tempo facevamo con le forbici e i ritagli dei giornali, oggi lo abbiamo attualizzato in termini digitali, ampliando fino all’inverosimile i nostri orizzonti di conoscenza.
Tutto ciò va a sopperire alla limitatezza delle nostre capacità di ritenzione. Io, per esempio, tutti i giorni “metto da parte” frammenti di ogni tipo, cercando il più possibile di classificarli per attinenza di contenuto, anche se poi le cose migliori vengono fuori da collegamenti fra argomenti apparentemente improbabili.
L’archivio più grande
Da un punto di vista squisitamente cognitivo-evolutivo, non andiamo molto lontani dal vero se diciamo che gran parte delle nostre espressioni del pensiero non siano altro che la diretta manipolazione dei ragionamenti lasciateci in eredità dai filosofi greci di duemila e cinquecento anni fa.
Banalizzando, c’è stato il genio che ha inventato la ruota e, a seguire, l’altro (altrettanto genio) che ha inventato le altre tre per realizzare un carretto, una carrozza e un’automobile.
Per farla breve, anche la scrittura è un continuo processo di mescolamento, ridistribuzione, ispirazione. Tanto che anche i grandi scrittori, che vendono milioni di copie dei loro libri, non inventano tutte le volte la ruota, ma ricombinano idee prese a prestito da qualcun altro. Poi, per non ridurre tutto a un mero copia-incolla, fanno entrare in scena la creatività, ovvero l’abilità di raccontare una storia facendo dimenticare al lettore che si stanno usando delle parole.
In un certo senso, stiamo parlando di un processo molto simile al riciclaggio dei rifiuti, dove degli scarti “rinascono” in una nuova vita, completamente trasformati. E, ancora una volta, di fronte al “nuovo” oggetto perdiamo la percezione della fonte originaria.
La scrittura è un pharmakon
Nel mito di Theuth, presente nel Fedro di Platone, la questione della trasmissione delle idee in forma scritta assume caratteri più ampi, mettendosi in relazione con la conoscenza e la sapienza.
Se da un lato, la scrittura ha consentito la diffusione del pensiero a livello globale (“il farmaco della memoria” per dirla con le parole della divinità), dall’altro è la netta contrapposizione del re Thamus a farci considerare anche, e soprattutto, gli aspetti negativi: “la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi della scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi”.
Fra le righe, ma in maniera molto esplicita, si legge anche dell’impossibilità dello scrittore di vigilare sul suo scritto una volta che è diventato pubblico. Oltre la creazione, c’è per lo scrittore un limite invalicabile. Quello della interpretazione di chi legge.
Ci rendiamo conto di quanto sia ancora estremamente attuale questa contrapposizione, osservando le dinamiche che reggono le moderne piattaforme sociali. In questi luoghi, la gran parte dei frequentatori “sono diventati portatori di opinioni, invece che sapienti” (Thamus docet).
Non abbiamo alternative
Ha senso immagazzinare (in senso biologico e artificiale) conoscenza senza utilizzarla? Ha senso avere delle idee e non confrontarle con le altre? Ha senso non scrivere alcunché per paura della critica?
Ogni volta che scriviamo ci mettiamo a nudo, ma non abbiamo alternative rispetto al rischio che corriamo. Perché “le canzoni son come i fiori, nascon da sole, sono come i sogni e a noi non resta che scriverle in fretta, perché poi svaniscono e non si ricordano più”.
Foto di Amador Loureiro