La comunicazione è nell’orecchio di chi ascolta

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Una delle principali componenti della comunicazione efficace è senza dubbio il feedback. Ovvero, la continua verifica da parte dell’emettitore che il suo messaggio sia arrivato a destinazione e, soprattutto, sia stato compreso dal ricevitore.

Ora, nei contesti sempre più frequenti di formazione a distanza (o da remoto), l’elemento della retroazione comunicativa va a farsi benedire quando ci si trova a parlare al cospetto di un “muro digitale” di webcam oscurate. Così il cervello del docente, nel tentativo di cercare inutilmente dei segnali, si affatica tantissimo e finisce per sprecare gran parte delle risorse che invece gli sarebbero state molto utili per confezionare al meglio l’esposizione degli argomenti.

Inizialmente questa “moda” dei discenti di non farsi vedere, mi faceva arrabbiare molto e arrivavo alla fine di ogni lezione con un senso di grande frustrazione.

Allo stato delle cose, e in attesa che gli enti di controllo stabiliscano dei protocolli comportamentali più chiari e stringenti, mi sono chiesto che fine faccia il messaggio una volta che oltrepassa il limite del mio schermo.

Per forza di cose sono costretto a fare delle supposizioni, poiché è invalsa anche l’abitudine (ma sì, chiamiamola con il suo nome: maleducazione) a non rispondere ogni qualvolta il formatore interpella uno o più corsisti. Sia chiaro, il docente che fa formazione non sta conducendo un telegiornale, all’opposto si sta adoperando in un processo educativo che si basa sull’interazione. Anzi, è proprio lo scambio reciproco a dare senso a questa attività.

Pertanto, parto dal presupposto che qualsiasi tipo di comunicazione è fatta da quello che si sa e da quello che si prova (il “sentire” interiore) rispetto al proprio sapere. Per meglio dire, qualsiasi formatore studia la sua materia e la espone, ma c’è sempre una certa distanza rispetto a come avrebbe voluto narrarla.

Nella grande maggioranza dei casi, ciò dipende dal contesto in cui questa comunicazione si concretizza. E di fatto, parlare “al nulla” non fa che aumentare il divario con la chiarezza e la completezza del messaggio.

Poiché una cosa è illudersi che la comunicazione abbia avuto luogo e tutto un altro paio di maniche è convincersi, molto amaramente, che nella propria esposizione è venuto a mancare un supplemento di anima.

Sicuramente, le modalità di presentazione meno convenzionali (più case history aderenti al contesto lavorativo dei discenti e meno slide generiche) hanno maggiori chances sul fronte dell’innesco della curiosità, ma restano ancora del tutto oscuri gli stati emotivi dei partecipanti al corso online.

Anzi, un errore che ancora mi capita di commettere è pensare che i corsisti provino quello che sto provando io in quel momento. Facciamocene una ragione, il trasporto appassionato per una determinata materia è quasi sempre solo nostro.

Allora, se vogliamo che nonostante tutto qualche nozione si trasformi in memoria persistente, dobbiamo vedere la situazione con gli occhi di chi molto spesso si trova a partecipare a un corso controvoglia e, sia detto, senza la benché minima motivazione.

Non ci è data la possibilità anche solo immaginare di “vivere” il mondo allo stesso modo di qualcun altro, ma di certo è possibile assumere quel punto di vista, per quanto in maniera pur sempre imperfetta.

È quando scegliamo di comprendere le cose attraverso gli occhi dei nostri interlocutori che possiamo sviluppare la dose di empatia indispensabile per “entrare in contatto”.

Nessun essere umano è refrattario a tutto, ma tutti ci allontaniamo da ciò che non ci interessa.

Così, senza la necessità di possedere un dottorato in psicologia comportamentale, ci restano solo le parole. E le parole, lo sappiamo, sono colori, forme, emozioni.

La grande magia della costruzione di una storia avvincente è far dimenticare che nell’imbastirla stiamo utilizzando delle parole (Henri Bergson, L’anima e il corpo, 1912).

Alla fine di tutto, in mezzo a questa tempesta dove ancora non si intravvede una schiarita, cullo la certezza che solo le parole ci possono guarire dal male dell’indifferenza.

Foto di Yoav Aziz

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La comunicazione è nell’orecchio di chi ascolta
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La comunicazione è nell’orecchio di chi ascolta
Descrizione
Comunicare non significa far uscire delle parole dalla nostra bocca, ma accertarsi che l'orecchio dell'interlocutore le abbia comprese.
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Sergio Gridelli Blog
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Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

2 commenti

  1. Bisognerebbe introdurre un obbligo circa il mantenere accese le telecamere. È questione di educazione (sarebbe come voltare le spalle all’insegnante se fossimo in un’aula in presenza) ma anche di serietà. Talvolta se sollecitati non rispondono perché fanno altro. Con buona pace della formazione, degli esiti e degli investimenti. Saluti

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