È arrivato il tempo delle convention aziendali

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Appena nelle strade cominciano a sbrilluccicare gli addobbi natalizi, ecco riproporsi le “indispensabili” convention aziendali. Veri e propri happening, sempre più “americani”, con tanto di sontuoso buffet finale.

Una passerella di best practice che, di reparto in reparto, hanno l’ardire di impressionare gli astanti a colpi di fogli di Excel in corpo 8. A parte l’ormai atavico disastro comunicativo cui si assiste ogni volta che un computer viene collegato a un proiettore, di tutta la fiera resta solo il sapore del panettone e delle bollicine.

Ogni azienda, ovviamente, ha il sacrosanto diritto di organizzare queste kermesse come vuole (compreso il cabarettista che chiude i “lavori”), ma farebbe bene, fra un lazzo e un frizzo, a considerare anche una domanda: “Cosa è davvero importante per noi?”.

Durante i miei corsi di formazione, i principali malesseri che registro hanno marginalmente a che fare con la retribuzione, i benefit o la rivendicazione di una maggiore flessibilità di orario. Al centro del disagio sul luogo di lavoro ci sono principalmente il clima non inclusivo, la mancanza di rispetto, l’indifferenza fra ruoli asimmetrici.

In questi dialoghi informali avverto la necessità di essere importanti. Cioè di sentirsi apprezzati per realizzare il presupposto fondamentale della creazione di valore. Non una semplice appartenenza a un’organizzazione, ovvero l’accettazione all’interno di un sistema, piuttosto il percepirsi come la cifra significativa e necessaria di quel processo.

Nessuna convention potrà fare la magia di cementare in un paio di ore ciò che dalla stessa azienda viene disatteso da anni.

Se niente importa

Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me“. “Ti salvò la vita“. “Non lo mangiai […] Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale“. “Perché? […] Perché non era kosher?“. “Certo“. “Ma neppure per salvarti la vita?“. “Se niente importa, non c’è niente da salvare“.

Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? è un saggio dello scrittore statunitense Jonathan Safran Foer che, partendo da un tema specifico, fa un’analisi sulla forza dei valori e su come questi si nutrano (è il caso di dirlo) dell’equilibrio fra l’essere persona e l’essere in relazione con l’ambiente che ci circonda.

Quando al centro si mette quello che è importante, in tutta la sua essenzialità, si compie un atto rivoluzionario, quello di soddisfare l’istintivo bisogno umano di aiutare ed essere aiutati.

In tutto questo c’è qualcosa di primordiale. È il motivo che ci accompagna per tutta la vita, fin da quando veniamo al mondo: cercare uno sguardo che ci comprende, una mano che ci tira su, un cuore che ci accoglie.

Se qualcuno si sente poco o per nulla importante sul luogo di lavoro, allora per lui nulla avrà importanza. Compresa la convention.

Il bisogno di avere un significato per sé e per gli altri

Riscattare la propria presenza dentro un’azienda fa bene al lavoro e, di conseguenza, a tutto il sistema sociale.

Ciò inizia con l’attenzione alle persone. C’è una differenza abissale fra conoscere un individuo e notarlo, cioè la capacità di leggere nei suoi occhi che qualcosa non va.

Semplificando, significa passare dal “Come stai?” (a questa domanda si risponde quasi sempre automaticamente “Bene, grazie”) al “C’è qualcosa che posso fare per te?”. Tutta un’altra musica.

Le persone avvertono di avere un significato quando un collega o un superiore si accorgono della loro assenza. Notare l’assenza di una persona rende ancora più potente la sua presenza.

Ancora una volta è questione di parole giuste. “Grazie per il lavoro che hai fatto” (che già se succedesse saremmo in orbita) assume connotati migliori se si aggiunge il come e il perché quella persona ha fatto la differenza e l’impatto che il suo agire ha avuto su tutta l’azienda.

Non è necessario avere un master per capire che quando le persone si sentono necessarie danno tutto quello che possono. Al contrario, quando le persone si sentono, e vengono fatte sentire, sostituibili, si comportano esattamente così, da soggetti sostituibili. E a poco a poco si spegneranno.

Ecco allora che mi piacerebbe che le convention iniziassero e finissero tutte con una sola affermazione autenticamente intenzionale: “Se non fosse stato per voi”. Sipario. Applausi. Brindisi.

Foto di Carmen Carbonell

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È arrivato il tempo delle convention aziendali
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È arrivato il tempo delle convention aziendali
Descrizione
Nella aziende, grandi e piccole, ci sono delle routine. Una di queste è la convention di fine anno. Molto spesso inutile.
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Sergio Gridelli Blog
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Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

2 commenti

  1. Bellissimo articolo ! Maestro, sarebbe tutta un’altra musica sul posto di lavoro se si introducesse anche solo alcune delle note di questo articolo .. quasi in orbita ! Spero dott Gridelli di avere ancora la possibilità di comperare lievito dalla Sua azienda. Buona giornata.

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