Houston abbiamo un problema con le parole

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Una tuta da astronauta adagiata in un prato.

Manca solo di trovarla dentro un barattolo di Nutella e la onnipresente teoria di Mehrabian farebbe tombola!

Non c’è corso di formazione in cui non venga pontificato come “il processo comunicativo dipenda per il 55% dal non-verbale, per il 38% dal paraverbale e solo per il 7% dagli aspetti verbali”. La conclusione è presto detta: ciò che diciamo non conta un fico secco!

Fermi tutti! Dopo la pubblicazione del libro Nonverbal Communication (1972), la “teoria delle percentuali” dello psicologo statunitense divenne immediatamente di dominio pubblico e riproposta come conferma matematica del nostro modo di comunicare. Nonostante lo stesso Mehrabian abbia cercato a più riprese di contestualizzare e limitare la sua ricerca all’ambito esclusivo dei sentimenti, ancora oggi la sua “formula” viene sbandierata come un dogma universale.

Se in determinati contesti il “come” conta più del “cosa” (per esempio, dire “ti amo” a una persona mentre contemporaneamente si fanno gli occhi dolci ad un’altra), più in generale non vi è dubbio che le parole che utilizziamo abbiano un peso per niente marginale. Anzi, dato che le usiamo per descrivere la realtà, è del tutto verosimile che finiscano per condizionare i nostri pensieri e le nostre azioni.

Le parole che ammazzano la conversazione

Esiste un trittico di parole altamente tossico, utilizzato tutte le volte che iniziamo una telefonata, addirittura con la ferma convinzione di apparire cortesi e gentili. Mi riferisco all’infilata Scusi-La disturbo?-Le rubo solo un minutino.

Ora, è probabile che al CERN di Ginevra siano al lavoro per capire se “un minutino” corrisponda a “sessanta secondini”, ma nell’attesa di conoscere le loro determinazioni, vediamo perché questa sequenza micidiale produce degli effetti catastrofici.

Quando chiediamo scusa? Tutte le volte che abbiamo causato un danno. Bene, allora domandiamoci che razza di guaio combiniamo quando abbiamo necessità di parlare con qualcuno. È evidente che qualsiasi nostro interlocutore stia facendo altro mentre gli squilla il telefono. Se potrà risponderà, altrimenti lo richiameremo, o ci richiamerà lui.

Se poi continuiamo con l’ossequioso La disturbo?”, stiamo semplicemente dichiarando che tutto quello che diremo sarà di certo meno importante di ciò che la persona chiamata è intenta a fare in quel momento. Per quella persona, stiamo ammettendo di essere per l’appunto un disturbo.

Concludiamo poi la devastazione con il furto di tempo, dimenticandoci ancora una volta che chi ruba è un ladro.

Nonostante il più delle volte sembra che tutto fili liscio, la parte inconscia di chi è dall’altra parte avverte che c’è qualcosa di stonato. Il classico “Non so bene cosa, ma quella persona ha qualcosa che non mi convince”.

Come risolvere la faccenda? Senza apparire sgarbati, possiamo benissimo evitare tutti questi salamelecchi con un più immediato ed efficace “È un buon momento per parlare di…”.

Le parole che fanno accendere i sensori cognitivi di allarme

Ci sono poi delle parole che utilizziamo come fossero degli evidenziatori fluorescenti, ma non fanno altro che gettare un’ombra sinistra sulle nostre costruzioni lessicali.

Ancora piuttosto di moda è l’evergreen “assolutamente sì”, anche nella versione negativa “assolutamente no”. Sì e no da soli non sono sufficienti? O, ancora, l’anteposizione dell’avverbio rende più vere le affermazioni o le negazioni? Mistero.

Alla stessa stregua, scende in campo anche il frequentissimo “personalmente”, come se tutto quello che diciamo non sia sempre una nostra rappresentazione soggettiva dei fatti.

È giunto il momento di scendere dal “però“. Quando spezziamo la frase con questa congiunzione avversativa, è come se cancellassimo con un colpo di spugna tutto quello che la precede. “Ti credo, però verificherò” (non mi credi) è ben diversa da “Ti credo e verificherò” (mi fai capire che mi credi).

Non ho mai compreso perché tanti sentano il bisogno di sottolineare un loro punto di vista con “onestamente”. “A te lo voglio dire in tutta onestà…”, perché normalmente a tutti gli altri racconti il falso? Magari non è intenzionale, ma il risultato è inequivocabile.

Infine, forse per merito (o demerito) del mito classico, arriva lei, l’ultima a morire. Quando diciamo “Spero di farcela”, al 90% sappiamo già che non ci riusciremo. La “speranza” è sempre molto intima dell’indecisione o, comunque, di un’attesa che qualcosa succeda per grazia divina. Sintonizzati su questa lunghezza d’onda, finiamo per non impegnarci a cercare tutte le risorse possibili e falliamo miseramente. Pensare in un’ottica di progetto, obiettivo, sfida, ci porta di sicuro più vicini al traguardo.

Per comunicare in maniera efficace, dobbiamo renderci conto che le parole sono l’unico strumento che abbiamo per condividere con gli altri le nostre idee. Sta a noi utilizzarle come proiettili o come carezze.

Foto di Elia Pellegrini

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Houston abbiamo un problema con le parole
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Houston abbiamo un problema con le parole
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Descriviamo ogni cosa con le parole. Quelle che utilizziamo (compresi i silenzi) hanno il potere di trasformare la nostra idea del mondo.
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Sergio Gridelli Blog
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Categorie: Coaching

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

1 commento

  1. al CERN di Ginevra siano al lavoro per capire se “un minutino” corrisponda a “sessanta secondini”, ;-))) Grandeeee !!!
    A me disturba anche quando mi dicono: scusa posso farti una domanda ? io rispondo che le domande sono 2 quindi !!!!
    E poi ancora peggio quando ti dicono : ti offendi se ti faccio una domanda ? io rispondo si ! …
    Caro Maestro Prof. Gridelli sempre molto interessante e utile queste sue riflessioni e consigli !
    Al prossimo articolo.
    Fabio Bargnesi

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