Più cose sappiamo e meglio stiamo. È impossibile non essere d’accordo con questa chiara e semplice affermazione. Del resto, lo sappiamo da sempre: più la nostra “cassetta degli attrezzi” del sapere è ben fornita e maggiori saranno le opportunità di successo, di riscatto sociale, di carriera.
La nostra formazione scolastica, anche dopo aver dimenticato gran parte delle nozioni, ha sedimentato dentro di noi degli schemi operativi elementari. Fra questi, quella che maggiormente utilizziamo e riteniamo del tutto logica, è la struttura delle forme di scrittura. Per farla breve e senza essere dei Manzoni, tutti abbiamo imparato a fare i “vecchi” temi di italiano secondo l’articolato premessa-sviluppo dell’argomento-conclusioni.
Poi è stato sufficiente un repentino aumento della velocità dei nuovi mezzi di conoscenza per sparigliare in un colpo solo questa “granitica” certezza.
I social hanno le loro colpe
La dittatura dei social, per dirne una, ha portato il componimento letterario a combaciare di fatto con l’istantaneità. Se vendi biciclette, il tuo post non potrà iniziare descrivendo l’invenzione della ruota, ma già nella prima riga dovrà farmi capire cosa vendi e perché dovrebbe interessarmi la tua proposta.
Il paradigma si è di fatto capovolto. Nessuno ha più tempo da perdere e, di conseguenza, quella che una volta era la conclusione, cambiando arbitrariamente di posto, è diventa la premessa.
Ma c’è di più. Se nella fase pionieristica della comunicazione sulle piattaforme sociali la contrapposizione con le modalità scolastiche avveniva pressoché sottotraccia e tutto sommato in maniera impercettibile, ora lo scontro è totale e palese. Da una parte le tecniche sequenziali dell’insegnamento, dall’altra la frontiera della simultaneità con la quale si misurano in tempo reale gli studenti.
Siccome i tempi di reazione della scuola sono ancora oggi biblici, c’è da chiedersi se disimparare non sia altrettanto importante come l’imparare.
Viviamo da qualche decennio dentro il fitto reticolo della tecnologia informatica e siamo continuamente sottoposti a trasformazioni algoritmiche che modificano la sostanza dei nostri comportamenti, delle nostre relazioni e, come non dirlo, delle nostre meccaniche di pensiero.
Le storie di Instagram non sono solo immagini (altrimenti si sarebbero chiamate così), ma una narrazione che non condivide quasi nulla con i canoni dell’espressività tipici dei componimenti scolastici. E non sono nemmeno fotografie, perché vivono sul momento e dentro il momento. Niente da lasciare alla storia. Quella storia che conserva e che si fa testimone del tempo che scorre.
…e la scuola pure
Tutto diventa arcaico nel volgere di qualche istante. Allora, qualcuno prima o poi dovrà spiegare perché nelle scuole si insegna ancora come usare la suite di Microsoft Office o Autocad, e non, al contrario, lo “smontaggio” intellettuale su cosa fanno un wordprocessor, un foglio di calcolo, un programma per il disegno tecnico.
Per come la vedo io, l’insegnamento dovrebbe essere più simile a una chiave inglese regolabile in grado di “gestire” il più alto numero di bulloni di forme diverse e, nel contempo, allenare il pensiero a fronteggiare le situazioni impreviste. In alcuni casi, la chiave inglese può diventare un martello.
Che io sappia, sono pochissimi i casi in cui l’apprendimento è riuscito a dominare il progresso tecnologico. Uno di questi è la tastiera QWERTY. Nata dall’esigenza di non far incastrare i martelletti delle macchine da scrivere, è stata conservata anche nei più moderni computer (dove non ci sono i martelletti) perché sarebbe stato molto più dispendioso intraprendere una nuova fase di apprendimento.
Ma anche qui, a scuola ci viene insegnato l’alfabeto secondo la sequenza a, b, c, d, … e poi ci ritroviamo davanti a una tastiera con tutti i tasti “mischiati”. Ecco come la necessità di disimparare rientra dalla finestra.
Disimparare per imparare
Se da un lato, abbiamo bisogno di imparare come imparare, dall’altro appare sempre più evidente che è fondamentale disimparare per imparare.
Ce lo ricorda Bauman quando, a proposito di velocità, individua il problema centrale della nostra società, ovvero quello di riuscire a “sbarazzarci delle vecchie abitudini” con lo stesso tempismo con cui ne acquisiamo di nuove.
Tuttavia, siccome nessuna nuova conoscenza si sviluppa dal nulla, anche lo stesso disimparare non può essere confuso con il dimenticare. Le cosiddette “vecchie abitudini” rappresentano comunque una mappa indispensabile per fissare nuove ancore di riferimento, nuove regole, nuove traiettorie. E noi sempre pronti a metterle in discussione.
Foto di Nick Fewings