Da sempre, con fisiologici alti e bassi, gli esseri umani si sono interrogati sulla loro natura e in particolar modo sul perché loro sono qui e adesso. Il dibattito fra la religiosità e il culto della ragione è continuato per secoli sulla scorta di una dialettica che faceva perno, da un lato, sullo spirito e, dall’altro, sulla sostanza materiale del mondo.
Fino a quando, fra l’infinito assoluto e gli “spiriti” finiti, si sono inserite le “intelligenze artificiali” con una domanda che ha fatto saltare il banco: “Ma gli androidi, sognano pecore elettriche?”.
Dalla potenzialità del pensiero fino ai computer quantistici, è stato un susseguirsi di dilemmi che hanno finito per mettere in discussione lo stesso concetto di intelligenza. È coscienza? È senzienza? È esclusivamente biologica?
Senza andare troppo dentro la questione, al momento nessuno mette in dubbio che negli esseri viventi il pensiero (con tutto quello che può significare) si manifesti in seguito a impulsi elettrici che vanno ad alterare le strutture biologiche elementari (molecole e cellule). Ora, in una macchina dotata di “intelligenza artificiale”, si può sostenere che avvengano delle trasformazioni a livello delle componenti “fisiche” che la costituiscono? È probabile che la risposta ce la forniscano le nanotecnologie, ma allo stato delle cose possiamo solo limitarci a ipotizzare scenari conoscibili, ancorché parziali e basati sull’invisibile.
Ovviamente, oltre a essere una faccenda squisitamente filosofica, la disputa sull’extrafisico tocca sostanzialmente anche tutti gli altri ambiti dell’esistenza. Lo sapevano, in misura diversa, Marx, Hegel, Freud e, per certi versi, anche Pasteur con i suoi germi “impercettibili”.
In particolare, il filosofo di Treviri ci alza la palla quando sostiene, in risposta a Hegel, che la storia si manifesta sempre due volte, la prima con le caratteristiche della tragedia, la seconda con le fattezze della farsa. Ora, non so se effettivamente stiamo prendendo in giro noi stessi quando cerchiamo di capire i meccanismi dell’artificiale attraverso gli apparati logici che fin qui abbiamo utilizzato per cercare di comprendere il mondo, ma resta la sensazione di voler sommare le mele con le pere.
Tutte le tecnologie che attraversano le generazioni le consideriamo di default “oggetti di natura”. Ovvero, sistemi che sono sempre esistiti. È stato così per la televisione che la stragrande parte di noi ha sempre visto in casa fin da quando è nato, e la stessa sorte è capitata allo smartphone che le nuove generazioni hanno trovato già dentro la culla.
A questo proposito, non è difficile considerare come molte delle muse neotecniche che ci circondano siano diventate delle estensioni “naturali”, non fosse altro per la continua estroflessione della memoria, in continuo transito dal contesto biologico a quello artificiale.
Se oggi risulta addirittura anacronistico considerare un “dentro” e un “fuori” dalla rete internet (si pensi, per esempio, all’impossibilità di tracciare un confine del Metaverso o, in maniera più frivola, dove si colloca la “caccia” ai Pokémon), alla stessa maniera il condizionamento tecnologico modifica le nostre percezioni della realtà.
C’è da dire che in tempi non sospetti, già Schopenhauer aveva avanzato l’idea dell’impossibilità di giungere alla verità in quanto il principio assoluto della realtà era occultato dal cosiddetto velo di Maya. Come a sostenere che tutto si riduce a una sorta di rappresentazione, del resto inevitabile poiché è solo grazie ai sensi che possiamo fare esperienza della realtà.
Tutti gli interrogativi che le verdi righe del codice di Matrix ci avevano sbattuto in faccia, sotto altra forma si ripropongono nell’anomalia narrata da Hervé Le Tellier (L’Anomalie, 2021) dove delle persone in volo su un Boeing 787 di AirFrance vivono un’esperienza simulata o, meglio, la replica esatta di un momento che tutti hanno già vissuto. Un errore del sistema? O, come riflette un personaggio del romanzo, “forse la vita inizia nel momento in cui sappiamo di non averne una“?
Probabilmente, è questo che ci fa andare avanti. È il bisogno antico del sogno che, spogliato anche della tecnologia più pervasiva, ci fa vivere simultaneamente in due mondi che si sfiorano ripetutamente creando i presupposti della bellezza di esistere.
Foto di Linus Sandvide