Le presentazioni con PowerPoint sono spesso sinonimo di noia mortale. Estetica da incubo (“Ma io faccio il medico, mica il grafico?”), testo in quantità industriale (“Altrimenti come faccio a ricordare tutto quello che devo dire?”), effetti hollywoodiani (“Se ci sono, perché non li devo usare?”), sono le caratteristiche immutabili di milioni di presentazioni, tutte brutte uguali.
Date per acquisite le condizioni fondamentali per costruire delle buone slide (immagini di qualità, poco testo, massima semplicità), ci si può migliorare (e di parecchio) studiando i metodi dei presentatori più bravi. Lo scopo non è quello di limitarsi a copiare, magari sostituendo qualcosa in qua e in là, ma di andare più in profondità per coglierne il concept cardine e rielaborarlo secondo il proprio stile.
[bctt tweet=”I buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano. (Pablo Picasso)” username=”giowile”]
Il metodo Takahashi
Solo testo, nessuna immagine. Per meglio dire, il testo è pochissimo (due o tre parole al massimo) e di grandissime dimensioni, quasi a diventare esso stesso un’immagine.
Masayoshi Takahashi è un programmatore che, per sua stessa ammissione, non ha dimestichezza con i software grafici e tanto meno con quelli per fare le presentazioni. Si è così inventato un metodo “visivo”, ancorché imperniato solo sul testo.
Comprendere l’impianto di queste presentazioni potrebbe tornare utile per tutti quelli che vanno in ansia al solo pensiero di salire su un palco. Questo metodo costringe il presentatore a organizzarsi in fase progettuale e aiuta il medesimo a non perdere il filo logico durante l’esposizione.
Il metodo Lessing
Questo approccio si basa sulla stessa semplicità che caratterizza il metodo Takahashi. Tuttavia, se ne differenzia per almeno due caratteristiche:
- frasi leggermente più lunghe (di solito si tratta di citazioni) e l’aggiunta, a dire il vero molto modesta, di immagini corredate da didascalie;
- la presentazione contempla molte slide (più di cento contro le dieci del metodo Takahashi) presentate ad un ritmo quasi vertiginoso.
L’idea di “sparare” centinaia di slide in 15 minuti potrebbe apparire scellerata o, comunque, lontanissima dai criteri di una buona presentazione. In realtà, il basso contenuto di testo di ogni slide (è sufficiente un colpo d’occhio per assimilarlo) consente al presentatore di accelerare la sequenza e impedire al pubblico di distrarsi o annoiarsi.
Il metodo Godin
Dall’autore della Mucca Viola ci si poteva solo attendere una tecnica di presentazione fuori dall’ordinario, ovvero in netta distinzione dalla massa.
“Se non vuoi perdere il tuo tempo e non farne perdere a me, devi farmi cambiare idea, devi fare qualcosa di diverso. Amico mio, questa è la vendita. Se non stai cercando di persuadermi, perché sei qui?”. Non si poteva raccontare meglio l’obiettivo fondamentale di qualsiasi presentazione.
Per raggiungere questo scopo, Seth Godin utilizza prevalentemente set di caratteri in grassetto, colori molto contrastanti e immagini altamente suggestive.
Il metodo Monta
Mino Monta è un personaggio molto popolare della televisione giapponese. Il suo programma è prevalentemente rivolto a un pubblico di casalinghe e si basa su un variegato set di informazioni, dai consigli per la salute al gossip.
Il metodo, che nel programma televisivo è del tutto analogico (poster e striscioline di carta), è stato per così dire “sdoganato” sul digitale da Shinichiro Oba, l’amministratore di una società di IT giapponese.
La tecnica di presentazione sta nel porre domande al pubblico praticamente in ogni slide. La particolarità consiste nel tenere nascosta la risposta che verrà svelata solo quando il pubblico avrà tentato di “indovinarla”.
Spesso la risposta è tutt’altro che intuitiva e ciò consente di mantenere alta l’attenzione (oltre che l’interesse) del pubblico.
Difficile? Impossibile? Non ce la farò mai? Quando si parte dalla consapevolezza che è sempre possibile fare un po’ meglio le nostre presentazioni (perché esistono quelli bravi che ci riescono), non si può che migliorare. Del resto, i metodi hanno questo nome perché sono il risultato di tonnellate di sbagli, di miliardi di correzioni e di piccolissimi perfezionamenti continui.
Photo by RyanMcGuire