Ulisse è in viaggio verso Itaca. Il suo mare è un avventuroso ipertesto dove ogni tappa (link) potrebbe brillare nelle schegge di ulteriori percorsi erranti. Traiettorie concettualmente finite, ma che l’immaginazione potrebbe spingere verso l’infinito.
Ulisse ha una meta
È guidato da un algoritmo che non richiede di essere dimostrato. La terra dei Ciclopi è il preludio alla caverna di Polifemo e Google lo sa. Poco importa o, meglio, non aggiungerebbe nulla all’approdo finale, se un eroe moderno vi giungesse dopo aver resistito alle malie delle affascinanti sirene. Anche invertendo e scartando di lato dal percorso di navigazione originario, l’approdo ad Itaca sarebbe fuori discussione. Gli spiriti guida è lì che lo vogliono portare e lui non può che fidarsi di loro.
Secoli dopo, con l’epoca delle grandi scoperte geografiche, gli dei non servono più. La loro profezia ha lasciato il passo alla ragione dei lumi. Il mare aperto (per quel tempo concettualmente infinito) appare senza link apparenti. Tuttavia, pur fallendo in alcuni casi i traguardi cercati, si arriva sempre in un porto. Tempo dopo, il sapere ci avrebbe detto che quelle terre senza nome non erano le Indie.
In ogni caso, ancora una volta l’algoritmo si impone. La navigazione fatta traguardando le stelle (altri link) è precisa. Difetta solo la trasposizione sulle mappe, rappresentate con le conoscenze del tempo. La fissità degli astri è assodata e infinita, il sapere è in continuo divenire. Anch’esso, almeno in potenza, infinito.
Gli dei linkano avvenimenti futuri, preordinati, programmati
La scienza di Mountain View che li ha sconfitti, invece, introduce basi concettuali razionali, tenendosi a debita distanza dal vortice dell’infinito. Ma è su questa dimensione del pensiero che avviene l’incontro.
I percorsi indotti da Google e quelli più “liquidi” del pensiero naturale, appartengono allo stesso territorio mentale. Da un lato, l’infallibilità matematica dell’algoritmo (elaborazione umana), dall’altro, sfidando Zenone, la mente immagina come finalmente possibile la vittoria di Achille. In sintesi, il motore di ricerca non è altro che la proiezione della mente umana nella sua forma attualizzabile, cioè fattibile.
L’algoritmo, per quanto raffinato, non sarà mai in grado di disegnare un cerchio esatto. Invece, la superiorità umana sul suo stesso prodotto (l’algoritmo che i nuovi dei in terra hanno creato) è che si può immaginare il cerchio in una forma geometrica perfetta.
La discontinuità genetica dell’algoritmo non è molto differente dal linguaggio. La trasduzione del pensiero (per definizione analogico) ad opera del linguaggio (se si vuole, molto simile a una struttura digitale) è un processo di perdita di informazioni. La ricerca algoritmica è un’approssimazione matematica dell’analogia mentale. Difficilmente, per loro natura, potranno essere sovrapponibili o paragonabili. C’è chi sostiene (o spera) che non lo saranno mai.
È comunque determinante la simbiosi fa i due layer. La tecnica dilata la spazio della conoscenza, la mente si fa sempre più elastica perché sfiora il contatto con una realtà “allargata” (oggi va molto di moda dire “aumentata”), via via sempre meno fisica.
È iniziata l’Odissea del Sapere
Faremo giri immensi, conosceremo cose di cui non immaginavamo l’esistenza, elaboreremo percorsi di senso non consueti, ma alla fine torneremo sulla nostra amata Itaca e sapremo far scoccare la freccia dal possente arco. Perché solo il sapere ci rende più forti, oltre che più liberi.