Si sa, i numeri sono importanti e spesso condizionano le nostre scelte. Senza generalizzare, siamo portati a preferire tutte quelle cose che quantitativamente hanno il maggior peso: acquistiamo un libro, un’automobile o andiamo a vedere un determinato film perché sono azioni già fatte da un gran numero di altre persone.
Semplificando, ma neanche tanto, potremmo dire che quando il marketing ci mette lo zampino anche i social media diventano una sorta di economia delle cifre. In parole povere, avere un cospicuo numero di followers, non solo ci fa apparire più fighi (di norma, limitatamente al mondo dei bit), ma soprattutto i seguaci si trasformano in una preziosa moneta di scambio nel momento in cui il profilo o il brand che li detengono hanno anche un valore economico.
Sulla rete si diffondono tante bugie, ma fortunatamente ci sono anche gli strumenti per scovarle. È il caso di Twitteraudit, un motore di ricerca specializzato nel fare le pulci ai followers di Twitter. È sufficiente inserire il profilo che si vuole verificare e in un battibaleno ecco spiattellato il numero di followers veri in rapporto a quelli ritenuti fake, o quantomeno sospetti.
Una precisazione. La “spia” viene fatta da un algoritmo che analizza un campione di 5000 followers riferiti al profilo che si sta analizzando, dando a ciascuno un punteggio in base alla loro presenza online. Ne deriva che la poca attività di alcuni seguaci (per esempio, l’ultimo loro tweet risale a più di un anno fa) viene etichettata come account falso o non più attivo. Ovviamente, in queste statistiche ci stanno dentro sia i ricambi fisiologici degli account che le “campagne acquisti” di spericolati social manager.
In ambito musicale, prendendo per buoni questi numeri, Laura Pausini strapperebbe il primato dell’uccellino a Lorenzo Jovanotti.
Sul fronte politico le cose non vanno meglio. Se per una rockstar avere più followers significa quasi automaticamente “orientare” il proprio mercato discografico, per i rappresentanti delle istituzioni questi parametri vanno letti più sul versante del consenso e, quasi di riflesso, in termini di condizionamento nelle competizioni elettorali.
Insomma, i numeri di internet non sono solo una faccenda aritmetica. Di questi tempi, dove avanzano a passo spedito le nuove frontiere dei data journalism e dei big data, la questione non è affatto da sottovalutare. Soprattutto in ordine a quel particolare meccanismo psicologico che assegna una valenza qualitativa a una grandezza quantitativa.
Una domanda sorge spontanea: dato che a denudare il re ci vuole così poco e tutti lo possono fare, perché i “campioni di Twitter” non fanno “pulizia” nei loro profili? Mi verrebbe da lasciare l’ardua risposta ai posteri, ma non escluderei la messa in atto di un sottile gioco delle parti dove gestori della piattaforma, mercanti di followers, utenti e società di rating conoscono esattamente il livello di doping del gioco, ma ormai the show must go on.
A dire il vero, Instagram con il suo Rapture ha già provato a mettere in piedi un’iniziativa “moralizzatrice”, ma le reazioni sono state in alcuni casi piuttosto violente. Per dirne una, Justin Bieber che viene “ripulito” in una notte di oltre tre milioni e mezzo di seguaci non si è svegliato molto contento.
Per pura curiosità, io non sono quotato in borsa (sic!), appiccico qui quello che Twitteraudit dice sul mio conto: