Ormai non ci facciamo più caso, usiamo le parole quel tanto che basta per farci capire (non sempre) e per rappresentare in qualche modo il mulinello di pensieri che ci frulla nella testa.
Tuttavia, se ci immergiamo anche di poco sotto il pelo dell’acqua ci accorgiamo che le nostre scelte sono spesso guidate dalle parole. Qualche esempio? Perché ci sono libri che vendono milioni di copie in tutto il mondo e altri che fanno fatica a pagarsi il costo dell’inchiostro? Perché esistono prodotti o servizi del tutto simili, ma fanno volumi di vendita lontani anni luce gli uni dagli altri? Perché ci arrivano newsletter che leggiamo avidamente e altre che cancelliamo di default, ancora prima di aver terminato di leggere il titolo dell’oggetto?
La risposta è semplice: tutto sta nella scelta delle parole. Come le usiamo, ma anche in quale ordine le mettiamo, fa la differenza. Un principio che vale sempre, sia che vendiamo caramelle, oppure trattori o pennelli.
Se così stanno le cose, allora è impossibile dare torto a Mark Twain quando diceva che “la differenza tra la parola giusta e la parola quasi giusta è la differenza tra il fulmine e la lucciola”.
C’è un piccolo copywriter in ciascuno di noi. Al di là del ruolo professionale, l’atto dello scrivere ha sempre lo scopo di convincere qualcuno a fare una determinata azione, compresa quella di farsi apprezzare.
Sappiamo a chi stiamo scrivendo?
Purtroppo no. Il primo errore capitale è che scriviamo le stesse parole pensando che possano andare bene per tutti. Un runner professionista, un podista della domenica e una persona che affronta il Cammino di Santiago non danno lo stesso significato al medesimo paio di scarpe.
Sono differenti le loro giornate, i problemi che devono risolvere, gli obiettivi che si pongono. E quindi, perché mai dovremmo utilizzare lo stesso registro di scrittura per tutti loro? La ricerca di un comune denominatore è la strada più facile per non dire nulla di interessante a nessuno.
La trappola dell’info
All’altro capo del sistema di comunicazione c’è sempre una persona, anche quando scriviamo alla generica mail info-chiocciola-qualcosa.
Per qualche strano motivo, in questi casi ci viene spontaneo entrare in “modalità aziendalese” e ci spertichiamo in autentiche sciocchezze senza senso come “soluzioni flessibili”, “troviamo uno slot per vederci”, “rimango in attesa di una vostra call”.
Non ci vogliono dieci master per scrivere le cose così come le diremmo a un nostro familiare o a un nostro amico. “Falla semplice” non è solo un caloroso invito, ma un segno di verità e di bellezza.
Le persone non leggono, scansionano
È tutta una questione di velocità. Se già nel titolo non c’è nessuna parola che cattura l’attenzione, tutto il resto può anche essere la descrizione della scoperta del moto perpetuo che nessuno la leggerà.
Nella prima riga è fondamentale che ci siano dei “ganci” come la preoccupazione, il problema, l’obiettivo che appartengono alla persona cui è diretto il messaggio.
Pensare costa fatica
Il cervello è una macchina che fa del risparmio energetico il suo principale modo di funzionamento. Se non è subito chiaro che tipo di prodotto è, cosa fa e a chi serve, l’attenzione viene istantaneamente rivolta altrove e ciao vendita.
Le parole urlate non si sentono
Un uso eccessivo del maiuscolo e dei punti esclamativi dimostra solo una cosa: sei semplicemente un adolescente in cerca della sua identità. Quindi, come puoi pensare che le tue parole possano convincermi?
Non è scrivendo tutta la frase con il Caps Lock bloccato e con un’esplosione di esclamazioni che le parole brillano di più.
L’attenzione è morta e noi non ci sentiamo molto bene
La famigerata paura del “carrello abbandonato” in un sito di e-commerce è spesso causata da una carenza di informazioni. Se i potenziali clienti, una volta arrivati al capolinea del tasto “Acquista”, hanno ancora delle perplessità o delle domande senza risposta, abbiamo un problema molto serio.
Il testo deve essere essenziale, non una parola in più e nemmeno una in meno. Non è solo una questione di informazioni, ma come queste ultime creano un paesaggio di senso dentro la testa di chi le legge. E ciò avviene solo se le parole utilizzate si possono toccare, assaporare, masticare.