“Metti mi piace e condividi” è uno di quei social diktat che ho sempre immaginato rivolto a coloro che non sono in grado di intendere e di volere. Forse esagero, ma nella filigrana di questa frase così perentoria non posso non leggerci un bel “imbecille” a caratteri cubitali.
Ormai lontani anni luce dallo scopo primordiale dei social media, quello di socializzare per l’appunto, ho come l’impressione che ci stiamo anche distanziando dalla galassia della comprensione del messaggio. Stiamo rapidamente entrando nell’era della supposizione dei fatti.
Nonostante la crisi di identità che sta attraversando Facebook, la sua più grande colpa, perpetuata nel nome di un’illusoria libertà di espressione, sta proprio nell’avere creato uno stucchevole sincretismo fra facce false e libri mai letti. Quando sappiamo da secoli che l’inganno si nasconde preferibilmente dentro l’ignoranza.
Sotto miliardi di riflettori accesi, finisce per prevalere la condivisione del “pensiero” degli altri. E tutto ciò in maniera acritica, apolitica, asimmetrica.
Un’ulteriore dimostrazione di questa perversa deriva si legge nei botta e risposta dei commenti. Non è difficile trovare chi, per una maniacale ricerca della sopraffazione altrui, deve sempre mettere nero su bianco l’ultima parola. Solo così raggiunge la soddisfazione di “aver avuto ragione”, dimenticando semplicemente che la sua è solo una supposizione. Infatti, dall’altra parte, gli interlocutori possono aver deliberatamente abbandonato il contraddittorio per manifesta inferiorità culturale del “laureato all’università della strada” di turno.
Il decadimento della conoscenza che, lo voglio ricordare, si può preservare e incrementare solo ponendosi costantemente delle domande, trova poi la sua cifra più alta quando viene fatto notare che è stata pubblicata una notizia priva di ogni fondamento, e in tutta risposta si ottiene un perentorio “informati meglio” (dove lo sanno solo loro, ovviamente).
C’è poi l’ebbrezza dell’istantaneità. Non sia mai che se non si pubblica un RIP sul filo del centesimo di secondo, i familiari della buonanima potrebbero risentirsene.
Certo, ci sono momenti della nostra vita quotidiana in cui dobbiamo assumere rapidamente delle decisioni. Non è il caso dei “Mi Piace” dove prendersi una pausa per riflettere sulle conseguenze di quel gesto non fa morire nessuno, e anche a chi ha avuto la disdetta della dipartita non cambia nulla.
Può sembrare controintuitivo, ma la velocità di elaborazione si allena con i pensieri lenti. Si diventa bravi giocatori di scacchi nelle modalità rapid e blitz solo dopo aver maturato ottime performance nelle partite a tempo lungo.
Questo tema, caro a Daniel Kanheman (“Pensieri Lenti e Veloci”, 2011), fa capire come le piattaforme sociali abbiano finito per assecondare la dittatura del Sistema 1 (veloce, inconscio, soggetto a errori) sul Sistema 2 (lento, conscio, maggiormente affidabile).
Tutti prendiamo degli abbagli, scriviamo delle sciocchezze o ci facciamo guidare la mano dall’impulsività. È normale. Ma questo non è ciò che conta. La cosa davvero importante è come rispondiamo quando qualcuno ce lo fa notare.
Usiamo quel richiamo per riflettere o per attaccare? Nel primo caso abbracciamo l’opportunità di migliorare, nel secondo continuiamo ad annaspare nel nostro decadimento intellettivo.
Allora, è possibile commettere meno errori? Certo, cercando di non sprecarli. Come? Ascoltando attivamente gli altri.
Il problema (e che problema!) posto dai social media – chi più e chi meno – è l’azzeramento delle condizioni di ascolto, ad esclusione delle cose che crediamo di sapere già. Ci piace la nostra voce e abbiamo orecchie solo per quella. Ne deriva una riduzione del potenziale della comunicazione che non fa più differenza fra un “dentro” e un “fuori” perché siamo già stati tutti condannati a un tempo aperiodico, senza ampiezza. Un silenzio da rumore bianco.
E sì, è venuto a mancare il volto delle parole.
Lo so, ho collezionato un’età tale da rendermi confacente il ruolo di laudator temporis acti, ma con grande sprezzo del pericolo, correndo anche il rischio di vedere confermato il mio inevitabile quanto fisiologico decadimento neuronale, vorrei sapere dove stavano nascosti tutti questi leoni.
Foto di Chien Nguyen Minh