Una delle cose che ci riesce meglio è rinviare le scadenze (consegnare un lavoro, fissare un rendez-vous, rinnovare un abbonamento).
Poi, siccome il tempo è inesorabile, arriva sempre il momento in cui ci assale l’ansia di non farcela, beffardamente mescolata alla falsissima sicumera di quel nostro “Tanto manca ancora un mese!”.
Insomma, il refrain è noto: ci diamo una mossa solo quando non abbiamo più scampo. E dire che le conseguenze le conosciamo perfettamente, a cominciare dalla qualità dei risultati che, ovviamente, non sono mai del tutto entusiasmanti. La ragione – che conosciamo altrettanto bene – va ricercata nell’accumulo delle cose da fare.
Sembra quasi che le scadenze siano dotate di un sistema di comunicazione autonomo, grazie al quale si danno appuntamento tutte nello stesso momento.
Se questi sono aspetti ascrivibili solo alle nostre (maldestre) capacità di pianificazione, non vanno sottovalutati i malfunzionamenti (o addirittura i down totali) degli “attrezzi” che ci permettono di lavorare.
Ormai quattro anni fa, manco a dirlo con il solito fiato sul collo di numerose scadenze, sono rimasto senza connessione per quasi una settimana.
Si dice che le difficoltà aguzzino l’ingegno e, infatti, ho dovuto dare fondo a tutta l’inventiva di cui ero capace per salvare il salvabile (un po’ di tethering fino a esaurimento del pacchetto dati, un po’ di wifi pubblico, un po’ di parenti e amici).
Per farla breve, lo stato d’animo è stato quello di quando l’hard disk passa a miglior vita e realizzi che non hai uno straccio di backup.
Cose brutte, (non) provare per credere!
Mi è tornato alla mente questo episodio l’altro ieri, quando è venuta a mancare la corrente in tutta la casa (non ho il gruppo di continuità) e di colpo sono piombato nel panico da scadenze, diventate tutte urgenti perché oltremodo procrastinate.
Cosa ho imparato?
Semplice, l’adagio “chi ha tempo non aspetti tempo” mi si è rivelato alla stregua di un faro in una notte nebbiosa, molto più che un modo di dire.
Come gestire con leggerezza le peggiori previsioni
Al di là dei metodi e degli strumenti, chi svolge un lavoro autonomo sa che deve pianificare le sue giornate lavorative.
Poi, non avendo la sfera di cristallo, è anche ben consapevole del fatto che è praticamente impossibile sapere cosa arriverà sulla sua scrivania dalla mattina fino a sera.
Così, fra il serio e lo scherzo, ho preso l’abitudine di predisporre l’ordine dei compiti che mi attendono facendo finta che alle 10 di mattina avverrà l’interruzione della fornitura di energia elettrica.
Va da sé che in cima alla lista finiscono inevitabilmente le attività cui la loro mancata realizzazione, complice un blackout, potrebbe seriamente compromettere le relazioni con i clienti, il buon esito dei risultati, il mio equilibrio psicofisico.
Immaginare la possibilità del verificarsi di uno scenario tragico, ancorché solo per gioco, ha il potere di ridefinire il nostro concetto di urgenza e, di converso, distinguere le cose davvero importanti da quelle che invece non lo sono affatto.
Un altro vantaggio, secondario solo per ragioni di pertinenza consequenziale, riguarda il diffuso senso di rilassatezza che sopraggiunge quando sappiamo che, succeda quel succeda, quella giornata è stata già messa in cassaforte.
Che dire, da quel momento fino al termine della giornata… velluto.