Tutti sappiamo scrivere bene. Il problema sopraggiunge quando vogliamo dimostrare di saper scrivere bene.
Tutte le volte che puntiamo a quest’ultimo obiettivo, i nostri pensieri si dispongono di default in modalità devo-usare-parole-difficili-così-sembro-più-intelligente.
Certo, chi non viene ritenuto un capoccione se usa termini come paralogismo, querulo, epitalamico? La brutta notizia è che molto spesso in questi casi otteniamo l’effetto contrario, un po’ come quando appiccichiamo dappertutto il nostro titolo di studio. Non è disgustoso prenotare al ristorante un tavolo per 4 a nome del Dottor Ingegner Rossi?
Lo scopo principale della scrittura è comunicare, ovvero trasformare quello che abbiamo in testa in qualcosa che possa essere facilmente compreso.
Non ho niente da dire
Il nemico numero uno della scrittura chiara e lineare è un mostro chiamato “Non ho niente da dire”. Ed è proprio questo il caso in cui sentiamo il bisogno di attaccarci ai paroloni, alle frasi pompose, alle acrobazie lessicali che occupano solo spazio senza dire nulla.
L’immagine perfetta che descrive questo approccio è quella del povero criceto, il quale corre come un pazzo dentro la ruota senza avanzare di un centimetro.
La semplicità è la suprema sofisticazione
Parecchio tempo dopo Leonardo da Vinci, anche Karl Popper ha espresso, in altri termini, il medesimo concetto: “Niente è più facile dello scrivere difficile”. Basterebbero questi “avvisi” per farci riflettere maggiormente quando impugniamo la penna o appoggiamo le mani sulla tastiera.
Una frase lunga è necessaria solo quando non ha candidati più sintetici che la possono sostituire. Per mia esperienza, posso dire che è rarissimo non trovare delle valide (e più leggibili) alternative per lo stesso concetto.
Qualche esempio:
- “Dare inizio”, iniziare
- “Produrre un cambiamento”, cambiare
- “Tutte le volte”, sempre
- “Nel momento in cui”, quando
- “Nel caso in cui”, se
- “Alla data odierna”, oggi
- “Nell’intento di”, per
- “Con la presente”, ecco questa non ha bisogno di sostituiti, non usiamola mai
Le parole e le immagini sono sorelle
Le parole che leggiamo vengono trasformate dal nostro cervello in immagini. La celeberrima frase “Non pensare a un elefante fucsia”, ancorché presenti una negazione (“non pensare”), porta alla rappresentazione mentale di un pachiderma nell’inusuale colorazione.
Per questo verso, risulta altrettanto facile rendersi conto di quanto sia molto più “debole” una frase come “Colleziono penne Bic” in luogo di “Ho una collezione di 326 penne Bic di varie epoche, tra cui 2 Orange Fine degli anni ‘70, 10 Limited Edition Gold e la nuovissima Cristal Renew in metallo”.
Con la seconda descrizione non vi sembra di vedere le mie penne?
Il Dottor Divago è sempre in agguato
Quando si scrive, partire per la tangente si rivela essere un grosso problema. Di certo non paragonabile ad altre preoccupazioni come la pandemia, la disoccupazione, il riscaldamento globale. A questo proposito, è utile ricordare che dal 1850 gli anni più caldi si sono manifestati tutti dopo il 2015.
Ecco servita la divagazione.
Se poi ogni paragrafo che scriviamo è sostanzialmente la ripetizione di quello precedente… buonanotte.
Molto spietati con noi stessi
Ormai l’abbiamo capito, scrivere in maniera semplice è difficile. Per questa ragione cancellare anche solo una riga (che ci è costata così tanto sudore e sangue) la subiamo come una coltellata in pieno petto. Ma è necessario farlo.
Ci siamo passati tutti. Poi, col tempo, impariamo che diventa tutto più facile se adottiamo una rigida procedura operativa:
- scriviamo il testo
- lo “congeliamo” (nel senso che ce lo dimentichiamo) per alcune ore o, addirittura, per uno o più giorni
- lo riprendiamo e abracadabra, come per magia, tagliamo, correggiamo, sostituiamo un bel po’ di cose che, non scherzo, sembrava quasi le avesse scritte un altro
Scrivere con le parole giuste significa esprimere compiutamente le nostre idee, coinvolgere le persone e guidarle nella direzione che desideriamo. Vale la pena provarci.