Parlare in pubblico: 10 errori che tutti facciamo

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ansia da parlare in pubblico

Parlare in pubblico mette ansia. Anzi, trovarsi su un palco davanti a un pubblico è addirittura una delle fobie più diffuse. Si sa, quando siamo nervosi, o sotto stress, facciamo delle cose difficilmente controllabili.

La causa è spesso dovuta alla mancanza di preparazione. Questo è il motivo per cui tutte le volte che dobbiamo parlare in pubblico commettiamo tutta una serie di errori piuttosto gravi.

1. Il discorso di circostanza

Cosa facciamo. Quando non siamo preparati sull’argomento, scivoliamo nella banalità del luogocomunismo. Quanti discorsi abbiamo ascoltato (specie di personaggi politici) che sarebbero potuti andare ugualmente bene per una commemorazione, un’inaugurazione o una premiazione?
Il discorso che va sempre bene non va mai bene. Il pubblico si sente allora ingannato, deluso, frustrato.
Cosa dovremmo fare. La domanda principale è una sola: se fossi dalla parte del pubblico, mi interesserebbe il discorso che sto facendo?

2. Il contatto visivo

Cosa facciamo. I nostri occhi rimangono per tutto il tempo fissi su un punto indefinito, oppure vagano senza meta, ignorando completamente i destinatari del messaggio. Quando viene a mancare il contatto visivo, le persone si fanno l’idea che noi siamo falsi, insicuri e, in certi casi, addirittura arroganti.
Cosa dovremmo fare. Mantenere il contatto visivo per alcuni secondi, o per il tempo necessario a completare un passaggio del discorso, è una delle abilità più importanti di un oratore. Reggere lo sguardo significa essere credibili.

3. I tic di maniera

Cosa facciamo. Per bilanciare l’ansia del parlare in pubblico, cerchiamo di distrarci tenendo le mani in tasca, giocando con una penna, toccandoci insistentemente i capelli. Tutte pratiche che distraggono il pubblico.
Cosa dovremmo fare. Dimentichiamoci di avere due mani, due braccia, due gambe. Appena inizieremo a parlare, sarà il nostro corpo ad accordarsi armoniosamente con i nostri argomenti.

4. L’energia

Cosa facciamo. Iniziamo il nostro intervento con un volume della voce molto basso, esponendo i concetti in maniera noiosa e con espressioni facciali del tutto opache. Il risultato che otteniamo, quando va bene, è quello di apparire antipatici.
Cosa dovremmo fare. Un tono di voce robusto, un bel sorriso sincero e movimenti naturali trasmettono la più grande delle persuasioni: ci stiamo godendo il momento. E il pubblico lo avverte.

5. L’improvvisazione non è improvvisazione

Cosa facciamo. Non ci prepariamo e non proviamo a sufficienza la presentazione. Anzi, affidiamo alle slide il compito di fungere da blocco per gli appunti. Le persone del pubblico percepiscono questa approssimazione e ci ignorano.
Cosa dovremmo fare. Provare l’intero discorso a voce alta è fondamentale per acquisire sicurezza durante la presentazione ufficiale. Maggiore attenzione va posta all’attacco iniziale (ripeterlo spesso, cambiarlo se necessario, migliorarlo tutte le volte) e al finale. In pratica, la premessa e la conclusione determinano il successo di qualsiasi discorso.

6. Stimolare le emozioni

Cosa facciamo. Più del Logos è importante il Pathos (Aristotele docet). In parole più semplici, il come si dice sovrasta il cosa si dice. Prestiamo il massimo dell’attenzione ai contenuti, sottovalutando (o, addirittura, ignorando proprio) l’empatia, l’umorismo e la fantasia dell’esposizione. Insomma, siamo talmente concentrati sul discorso che accendiamo solo l’emisfero sinistro del cervello.
Cosa dovremmo fare. Una presentazione che si fa ricordare è un equilibrio pressoché perfetto fra informazione e ispirazione. Parlare alla testa, ma anche al cuore. Certo, dobbiamo esporre i fatti, ma perché questi risultino persuasivi la strada obbligata è quella delle emozioni.

7. Parlare in pubblico tutto d’un fiato

Cosa facciamo. Per paura di dimenticarci qualcosa, parliamo a raffica come se dovessimo recitare la poesiola di Natale. Il risultato è che al primo inciampo (la slide che non ne vuole sapere di apparire, un interruzione da parte del pubblico, il microfono che smette di funzionare) la folle corsa del treno dei nostri discorsi finisce per deragliare. E allora, ciao!
Cosa dovremmo fare. Le pause sono fondamentali, indipendentemente dal tempo assegnatoci per l’intervento. Il silenzio è un artificio retorico che non dovrebbe mai mancare quando si passa da un argomento ad un altro.

8. Aprire il sipario

Cosa facciamo. I primi due minuti sono fondamentali per entrare in empatia con il pubblico. Il problema è che li sprechiamo per scusarci di mille cose (sono emozionato, sono in ritardo, non dovevo essere qui), per leggere l’ordine del giorno, per raccontare una barzelletta che il 90% del pubblico conosce già.
Cosa dovremmo fare. Investiamo gran parte della preparazione nel mettere a punto l’apertura: un’avvincente storia personale, un dato fenomenale, una domanda. Una domanda prima di iniziare? Perché no! Io, ad esempio, chiedo subito se ci sono domande. Il pubblico ride e io rompo il ghiaccio.

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9. Far ridere per forza non fa ridere

Cosa facciamo. Cerchiamo di apparire simpatici facendo battute fuori luogo, finiamo per essere comici.
Cosa dovremmo fare. Se le persone del pubblico ridono spontaneamente, possiamo essere certi di avere la situazione in pugno. Questa è la parte dell’intervento che richiede lo studio maggiore, perché far ridere è molto diverso dall’essere ridicoli. Individuiamo alcuni aspetti spiritosi da presentare e testiamoli preventivamente con le persone più care (non avranno difficoltà a mandarci a quel paese se le nostre trovate non fanno ridere).

10. Aiuto, le domande!

Cosa facciamo. In qualche maniera siamo arrivati in fondo alla presentazione e, constatando di essere ancora vivi, salutiamo tutti e buonanotte. Non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello chiedere a qualcuno del pubblico di fare qualche domanda. E se poi la fa per davvero?
Cosa dovremmo fare. Le domande alla fine del nostro intervento sono il coronamento della nostra credibilità sull’argomento che abbiamo appena esposto. Anche quando il tempo è poco, lasciamo sempre una manciata di minuti al botta e risposta con il pubblico.

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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