Anche se spesso nelle organizzazioni si innescano dinamiche che vanno avanti e indietro nel tempo in assenza di una spiegazione plausibile (fortunatamente senza l’indecifrabile violenza di Pulp Fiction), è più raro che al loro interno si riesca a trovare l’ineffabile Signor Wolf, protagonista della pellicola di Quentin Tarantino.
E già, una costante di qualsiasi team di lavoro sono i problemi o, per meglio dire, l’atteggiamento che si ha nei loro confronti. Infatti, non è raro che problemi piccolissimi, riunione dopo riunione, diventino giganteschi, con il conseguente dilagare del panico.
Come insegna Edward De Bono con il suo pensiero laterale, la risposta efficace ai problemi è spesso controintuitiva. Ecco perché è necessario evitare di navigare a vista e dotarsi di un metodo che permetta di uscire dal labirinto il prima possibile e con il minor dispendio di energie e di tempo.
Dove vogliamo arrivare?
La prima cosa da fare è comprendere qual è l’obiettivo da raggiungere, ovvero immaginare la situazione ideale che si concretizzerà una volta risolta la criticità. Semplice a dirsi, ma praticamente impossibile da attuare se, come ci ricorda Albert Einstein, si utilizzeranno gli stessi strumenti che l’hanno generata, vale a dire tutta la teoria cognitiva del presente.
In questa fase, gli ostacoli da rimuovere sono quelli tipici dell’ancoraggio alla situazione di fatto. Un atteggiamento, questo, che inevitabilmente porta ad adattare ciò che si sta già facendo, con tutti i difetti che a lungo andare non si vedono nemmeno più.
“L’uscita d’emergenza più vicina potrebbe essere dietro di voi”, viene ripetuto dagli assistenti di volo prima di ogni decollo. Ecco, cercare di risolvere un problema mescolando gli elementi già noti si arriva, nella migliore delle ipotesi, a una catena di approssimazioni classificabili con l’ormai proverbiale “abbiamo sempre fatto così”.
Solo quando si ha in testa l’immagine vivida dell’obiettivo da raggiungere, si può procede chiedendosi quale potrebbe essere la traiettoria migliore per arrivarci. Si tratta, come già detto, di un metodo operativo che, in ogni caso, porta a risultati sicuramente più performanti (anche in termini di relazione comunicativa) rispetto alla semplice modifica del contesto attuale.
Siccome si parla di immaginazione, è consigliabile che i “ragionamenti” vengano messi nero su bianco attraverso mappe mentali, ciò allo scopo di evitare il più possibile le ambiguità.
A questo punto, è stata fatta la parte più importante e consistente del lavoro, ma gli errori sono sempre dietro l’angolo.
Uno di questi, se non il principale, praticamente onnipresente, è far diventare la soluzione una specie di totem salvifico. Qualcosa di inviolabile che sta sopra tutto e tutti.
La soluzione non è la soluzione
Innamorarsi perdutamente delle soluzioni (il nuovo sistema generato) lascia, ahinoi, sullo sfondo il processo da cui ha avuto origine (il problema affrontato). Si tratta di un approccio naturale, addirittura istintivo, che però porta a ritenere i sistemi insostituibili, anche quando verranno oggettivamente travolti dalle contingenze del progresso. Quante volte abbiamo visto stampare e archiviare miliardi di documenti solo perché questo “sistema” ha sempre dato ottimi risultati?
In altri termini, è come bearsi dell’estrema perfezione di un intervento chirurgico, ma purtroppo il paziente è morto.
La magia della mente
Di fronte a qualsiasi problema, il trucco per rimanere “sul pezzo”, è comprendere il processo, perché le soluzioni (i sistemi) sono effimere e soggette col tempo a una miriade di deterioramenti.
“Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, è una delle tre leggi di Clarke. Ovviamente, niente a che fare con il “coniglio che sbuca fuori dal cilindro” o la “donna tagliata in due”, molto più realisticamente è la caratteristica propria delle organizzazioni che affrontano i problemi in un’ottica di costante innovazione.
La loro unica preoccupazione è dare un “corpo” immediatamente intelligibile alle visioni che abitano la mente. La “magia”, per l’appunto, di dare al mondo la stessa forma del pensiero.
Foto di Ashley Batz