Inizio col dire che non c’è fare senza sbagliare. Se è vero che in ogni azione che facciamo cerchiamo di ridurre al minimo gli errori, lo è altrettanto l’ineluttabilità di commetterli quando ci avventuriamo in qualcosa di nuovo, sconosciuto, inesplorato.
Da un’altra prospettiva, l’assenza di sbagli ci dice che rimaniamo ancorati all’interno della nostra zona di comfort senza rischiare alcunché. E invece, le cose nuove le impariamo proprio perché tiriamo fuori il coraggio per metterci in gioco.
In una maniera o nell’altra, siamo sempre responsabili delle cose che facciamo e di quelle che non facciamo. Insomma, il nostro essere al mondo è tutto un equilibrio fra la colpa e il rimpianto.
Poi, c’è chi commisera se stesso cercando un capro espiatorio per l’infinità dei propri desideri disillusi (su tutti “avevo bisogno di lavorare, non potevo continuare gli studi”) e chi, invece, guardandosi indietro, trova gli stimoli giusti per accettare di nuovo la sfida. O, perlomeno, riprovarci.
Una delle frasi motivazionali più ricorrenti è senz’altro quella che ci incoraggia a pensare che nella vita o si vince o si impara, non si perde mai. Infatti, gli errori hanno lo scopo primario di farci acquisire nuova conoscenza. Ma ci sono errori ed errori, nel senso che non possiamo classificarli sotto un’unica categoria.
Se ci siamo scottati con l’acqua bollente, la “lezione” sarà quella di evitare che succeda di nuovo (sbagliare meno), mentre se stiamo cercando di capire come far funzionare al meglio un software, procederemo attraverso errori sempre meno decisivi (sbagliare meglio).
La linea di confine che separa queste due “visioni” non è sempre così netta e chiara. Esiste una sorta di “terra di nessuno” in cui si riducono drasticamente le sfumature e un ipotetico interruttore della scelta può stare solo da una parte o dall’altra.
Per farla semplice, e parafrasando il buon Yoda, la sintesi potrebbe essere quella di “continuare a sbagliare o non continuare a sbagliare, non c’è provare a sbagliare”.
Non fare nulla è un errore
Siamo sicuri di poter dire di non aver mai fatto del male a nessuno? Magari, non abbiamo arrecato dei danni direttamente, ma siamo meno responsabili se per tutta una serie di alibi abbiamo lasciato che una situazione precipitasse, nonostante avessimo tutte le possibilità per impedirlo?
Non ascoltare è un errore
Siamo convinti che esista una sola rappresentazione del mondo (la nostra, of course!). Questo ci porta dritti dritti a fare delle supposizioni circa i pensieri, le intenzioni e i dolori degli altri, con il risultato che non ci interessa capire, ma solo dimostrare che noi stiamo dal lato giusto.
Non dedicare attenzione è un errore
Per un imperscrutabile meccanismo relazionale, finiamo per dedicare più tempo alle persone sbagliate rispetto a quello che dovremmo invece riservare agli affetti che ci circondano. Ho scolpiti nella mente i rammarichi degli anziani che, facendo il bilancio di tutta una vita, si sentono profondamente colpevoli per aver dato come “scontate” le persone a loro più care.
Quei “pezzi” di loro che dovevano essere ceduti a chi li amava, oggi non sono altro che un ammasso di cocci impolverati.
Non fare del proprio meglio è un errore
Ogni tanto è consigliabile anche accontentarsi, ma diventa un errore quando in certe occasioni siamo perfettamente consapevoli di non aver dato il meglio di noi.
Può andare bene qualche volta e, di certo, è tutt’altro che spiacevole stare spaparanzati sul divano a guardare l’ennesima serie tv, ma il rischio è quello di scivolare nella passività cronica.
Il tempo, si sa, è una risorsa non rinnovabile. Tutto quello che non abbiamo fatto e che invece avremmo potuto fare in un preciso momento, non è detto che ci si ripresenti in un’altra occasione. E se anche dovesse succedere, sarà sempre qualcosa di diverso nelle modalità e nelle conseguenze.
Perché ormai è chiaro, solo nei videogames abbiamo infinite “seconde possibilità”.
Foto di Matt Ridley