Il prossimo mese di aprile, PowerPoint compirà 30 anni di (onorata) attività. Tre decenni di amore e odio che hanno portato il software di Microsoft a essere il sistema per fare presentazioni più utilizzato al mondo.
I numeri, secondo stime approssimative (al ribasso), raccontano che ogni giorno si fanno qualcosa come 30 milioni di presentazioni con PowerPoint e che in questo preciso istante almeno 350 persone, in più parti nel mondo, stanno armeggiando con delle slide.
L’onnipresenza di PowerPoint è ormai proverbiale. Viene utilizzato (spessissimo malamente) per qualsiasi cosa, dalle tesine di terza media ai progetti di marketing. Un abuso maldestro che gli ha valso, non a caso, l’appellativo di “Death by PowerPoint”. Una manciata di slide non si negano più a nessuno, salvo poi far sorbire al pubblico presentazioni che stordirebbero un cavallo.
Da quando il computer è diventato una sorta di elettrodomestico delle meraviglie, parecchi si sono auto-conferiti il titolo di designer, artisti e scrittori. E così, appena si spengono le luci della sala conferenze, comincia la rassegna dell’horror.
PowerPoint non è un programma, è uno strumento di comunicazione. Per questo motivo, il centro del problema non è per niente tecnico, ma squisitamente semantico. Mi capita di vedere presentazioni con ogni bendidìo di effetti grafici, ma prive della benché minima cognizione comunicativa. Va da sé che alla fine restano solo gli occhi spiralati del pubblico. È questo il risultato che vogliono ottenere le aziende e i loro uffici di marketing?PowerPoint
Istruzioni o dialogo?
La cosa ancora più sorprendente è che le organizzazioni pubbliche e private investono un sacco di risorse (tempo e denaro) in corsi di formazione su “come utilizzare il pacchetto Office” e non vengono minimamente sfiorate dal dubbio di come questi siano semplicemente dei mezzi per creare contenuti. Se conosco fino all’ultima vite di un trattore, ma ignoro completamente come si prepara un campo per la semina del grano, sicuramente non posso dirmi agricoltore.
[bctt tweet=”Follia è l’incapacità di comunicare le tue idee. (Paulo Coelho)” username=”giowile”]
Senza le opportune conoscenze sulle tecniche di comunicazione e, a ruota, su come si approccia il public speaking, PowerPoint si trasforma in un mero frullatore di contenuti che non servono a nessuno, sempre ammesso che almeno quelli, i contenuti, ci siano.
Per altro verso, anche tutta la sfida con i suoi diretti concorrenti (Prezi e Keynote in primis), PowerPoint la sta giocando sul piano tecnico: inserimento di modelli tridimensionali nella presentazione, superamento del concetto di sequenzialità (movimento, zoom e strumenti spaziali) copiando, si fa per dire, la funzionalità nativa di Prezi, maggiore confidence con gli oggetti multimediali (tipica di Keynote).
Il futuro di PowerPoint
Tuttavia, al di là delle nuove implementazioni, le presentazioni si continuano a fare come 30 anni fa. Vale a dire, senza una progettazione strategica degli obiettivi di comunicazione.
Si tratta di una questione che da qui in avanti assumerà proporzioni ancora più preoccupanti. Sul finire degli anni ottanta non si potevano certo prevedere le frontiere della “immersione digitale” (realtà virtuale e aumentata) che oggi hanno portato i pubblici a essere sempre più avidi di esperienze sensoriali.
Chi ha provato, anche solo una volta, la visione tridimensionale con una Cardboard e uno smartphone, messo davanti a delle slide si aspetta il “minimo sindacale” di uno straccio di coinvolgimento emotivo.
Ora, non credo che le platee che assistono alle presentazioni verranno dotate nel breve periodo di caschi VR e di tute hi tech zeppe di sensori, ma sono convinto che per effetto di “quello che tutti hanno già visto” si noterà sempre più lo scarto fra slide che fanno addormentare e slide che lasciano il segno.
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