Chi avrebbe mai detto che un giorno il biologico si sarebbe imposto a tal punto da accelerare gli scambi digitali? Eppure, questa epidemia, causata da un microrganismo acellulare, ha “contagiato” anche i bit.
Nonostante il web esista da qualche decennio, in molte professioni le cose sono andate avanti dentro una matrice che ricorda i (bei?) tempi dei telefoni con il disco combinatore. Sono quelle che ancora oggi usano “l’internet” per inviare/ricevere le mail e poco più. O meglio, in quel più ci sguazza (felicemente) una macchina mitologica, metà stampante e metà dagherrotipo. L’incredibile fax.
E la scuola cosa fa?
Su un altro fronte, quello della scuola, dopo anni di circolari in cui viene tassativamente vietato l’utilizzo dello smartphone durante le ore di lezione (come se gli ausili digitali “omologati” fossero solo quelli polverosi delle anacronistiche aule informatiche), ecco che lo stop forzato degli insegnamenti frontali costringe a prendere in considerazione, non senza imbarazzo, le tecnologie dell’e-learning.
Forse, e questo è più che altro un auspicio per quando l’emergenza virale sarà stata superata, si cominceranno a fare seriamente i conti con lo stacco differenziale ben più che marcato fra il classico insegnamento sequenziale e la “travolgente” simultaneità della rete. Una modalità, quest’ultima, con cui si confrontano, e non da oggi, gli studenti durante tutto il loro tempo extra-scolastico.
Quante volte abbiamo sentito dire e visto scritto che internet e, in particolare, i social hanno distrutto le nostre vite? Salvo poi scoprire che i medesimi autori non hanno una vita al di fuori di Facebook & Co. In un colpo solo, tesi e antitesi. Per la sintesi ci vorrà ancora del tempo, ma gli ingranaggi della trasformazione si sono messi in moto.
La metamorfosi che è dentro noi
Indubbiamente, per dirla con Mao Tse-tung, adesso è “grande la confusione sotto il cielo”. “Perciò – andando sempre in prestito dal fautore della rivoluzione culturale – la situazione è eccellente“. Sì, eccellente, perché la storia ci insegna che i grandi “scossoni” funzionano un po’ come un setaccio che piano piano fa affiorare le pepite.
Intanto, dopo queste prime settimane di black out semi-generalizzato, abbiamo capito che:
- smart working è più figo di telelavoro
- nonostante il digital divide, le soluzioni si trovano (per meglio dire, ci si ingegna)
- nel caso ci fosse bisogno di evidenziarlo ulteriormente, virtuale è reale e viceversa
Evidentemente, il fisioterapista o la parrucchiera (per citare solo questi) non diventeranno “digital smart” dall’oggi al domani (in uno scenario futuribile, chissà), ma moltissime altre professioni hanno scoperto che “si-può-fare”.
Fra queste ci metto anche la mia di formatore. Certo, vanno riviste un sacco di cose, perché fare un corso online non significa trasporre sic et simpliciter la lezione dell’aula fisica dentro i pollici di un desktop. Cambia lo scenario, spariscono le sensazioni, si riducono al minimo le interazioni.
Perché, detta come va detta, passare dalla formazione a distanza alla formazione distante è questione di un attimo.
Devo comunque ammettere che relazionarsi con uno schermo crea una situazione spiazzante, specie per uno come me che gestisce i suoi corsi di formazione “analogica” alla maniera di un saltimbanco.
Per questo, va rivisto l’approccio nell’ottica della flipped classroom dove l’apprendimento diventa, come dire, “poroso” in un senso altamente bidirezionale per effetto del mescolamento dei tempi, dei ruoli, delle esperienze.
Si va oltre al concetto di aula (senza peraltro mistificarla e superarla) per approdare a quello di project work, senz’altro più funzionale in un ambiente ricco di risorse come quello digitale.
Abbiamo anche capito che internet e i computer non sono una moda passeggera (“Penso che ci sia un mercato mondiale per, forse, cinque computer”, pare avesse detto nel 1943 il presidente dell’IBM Thomas J. Watson), ma stante la situazione contingente ci siamo resi conto di quanto il pulviscolo digitale sia arrivato in profondità dentro le nostre vite. Con ogni probabilità, fino a oggi non ne eravamo così tanto consapevoli.
L’orizzonte che immaginiamo, ma che ancora non vediamo
Molte faccende, specialmente quelle legate al mondo del lavoro più “fisico”, ritorneranno presto o tardi a replicare le routine tradizionali. Ma, per tante altre, il nuovo assetto assumerà caratteri persistenti.
Difficile dire ora se sarà tutto bianco o tutto nero, di sicuro le nostre esperienze cablate prevalentemente in esclusivi contesti “atomici” dovranno porsi il problema di come sperimentare nuove forme di presenza.
Oltre il confine del digitale cesserà (forse) di esserci un altrove, cioè un luogo altro rispetto al qui ed ora. La sensazione di essere “sentiti”, sebbene saldamente ancorata alle dimensioni spaziali con le quali la maggior parte di noi è cresciuta, includerà (forse, di nuovo) anche un livello cybernetico “reale” o ritenuto equivalente. Con tutte le implicazioni del caso, compresa la sostanziale omogeneità cognitiva fra la diffamazione in un post e un cazzotto sull’autobus.
Non dico che all’improvviso avremo con la rete la stessa confidenza che riserviamo al frigorifero, ma (forse, e tre) in futuro riusciremo a gestire meglio il rapporto con la nostra aggressività latente, squarciando il presunto velo di ipocrisia che ci fa nascondere dietro le tastiere.
Infatti, molto dell’intrattenimento “social”, oltre a manifestarsi a livello inconscio, rende lo scorrere del tempo appena percettibile, quasi tendente allo zero. E con esso si affievolisce anche il senso del limite.
Lavorare da casa con il proprio computer e con la rete (in questo caso, è il tempo che comanda), significa maturare un altro tipo di rapporto con quegli stessi strumenti che usiamo per l’entertainment. Anche se, finito il nostro smart working, “non stacchiamo la spina”, la misura del tempo sarà molto più presente e, in qualche modo, vincolante. Paesaggi di maggior senso inclusi.
Da ultima, immagino questa “rivoluzione digitale obbligata” come una specie di pharmacon vaccinale, dove la componente velenosa della rete che consuma le vite, viene vinta da quella benigna che, all’opposto, le potenzia e le completa.
Complimenti per i pensieri, il sito e la grafica
Grazie mille Dino!
Bell’articolo
Grazie Teo!