Tutte le volte che faccio una riunione con persone mai viste prima, nella mia mente si materializza velocissimamente una specie di elenco. Di più, una vera e propria classificazione dei presenti.
Sulle prime pensavo dipendesse esclusivamente dal noto meccanismo secondo cui “a pelle” dividiamo i soggetti in simpatici e antipatici. Tuttavia, pur non escludendo questa componente inconscia, mi sono ritrovato più volte a giudicare, in questo caso sul piano squisitamente razionale, le caratteristiche peculiari del cosiddetto “fattore di leadership”.
E sì, bastano pochissimi scambi di battute per capire come si pone una persona di fronte alle difficoltà, alle esigenze contingenti, alle strategie da adottare. In breve, si tratta della definizione della linea (invisibile?) che divide un leader da chi non lo è (e, con ogni probabilità, non lo sarà mai).
È curioso come una scimmia
Già prima che cominci la riunione, il leader sprizza “perché?” da tutti i pori. Si interessa attivamente anche di quelle cose che potrebbero apparire marginali o del tutto insignificanti se incasellate nel contesto degli argomenti oggetto dell’incontro.
Per esempio, fa domande sulla giusta quantità di acqua da somministrare al Ficus Benjamin che nessuno aveva notato nell’angolo della sala meeting, si appassiona attivamente al pourparler tipico del pre-riunione, mentre dialoga guarda negli occhi i suoi interlocutori e non il display dello smartphone.
Il miglioramento è la sua costante
Appena prende la parola si capisce subito che per lui lo status quo non esiste. Tutto è in continuo movimento, ma non secondo logiche di cambiamento fini a loro stesse.
Perché non c’è scritto da nessuna parte che il cambiamento debba essere positivo per definizione. La sua direzione funzionale è solo il miglioramento che, ovviamente, è anche quella della sua crescita professionale e umana.
Il suo carisma non è innato
Pronuncia due parole e manda in frantumi il luogo comune secondo cui certe caratteristiche personali le hai o non le hai. La sua condotta è una chiara dimostrazione che “sotto” c’è uno studio, un impegno, un’etica.
Non attrae attenzione per effetto di non bene specificate leggi del magnetismo, ma è magnetico perché è veramente interessato ai bisogni delle persone. E lo dimostra coi fatti, oltre che con le parole.
Se durante la riunione si accorge dell’espressione preoccupata di un partecipante, non esita a interrompere la sua esposizione che, sebbene importante, non lo sarà mai quanto il malessere interiore di una persona.
Crea connessioni umane, non meccanici legami professionali
Nello sfondo del suo agire vanno di pari passo, quasi si trattasse di un corpo unico, le connessioni fra le persone e le persone, fra le persone e i progetti, fra le persone e i processi.
Per lui le prestazioni hanno un senso, e producono valore autentico, solo se in primo piano c’è l’umanità dei propri collaboratori.
Mi accorgo di questo atteggiamento operativo quando nei suoi discorsi la parola “persone” è pronunciata molto più frequentemente di “budget”.
È così che assume caratteri di concretezza il tanto sbandierato “lavoro di squadra”, un assioma che molto spesso nasce e muore dentro l’album dei buoni propositi aziendali.
Ha coraggio da vendere
Il vero leader fa la differenza perché si assume la piena responsabilità delle scelte che compie. Come dire, ci mette la faccia e ne paga le conseguenze in prima persona. Salvo poi condividere i successi con tutti i suoi collaboratori.
Nelle riunioni non lascia spazio a equivoci del tipo “poi vedremo”. Infatti, le sue parole fanno capire chiaramente che avere coraggio nei momenti di difficoltà significa credere nelle proprie e nelle altrui capacità.
Quando poi si verifica un guaio, non convoca una riunione per cercare il colpevole, ma mette tutti attorno a un tavolo per infondere ancora maggiore motivazione. In questo caso, il “come fare” viene sempre prima del “chi è stato”.
Lascia la sua impronta
Quanto tempo abbiamo sprecato in riunioni inutili? Di certo, parecchie ore (migliaia?) a testa. E probabilmente è accaduto tutte le volte che in quelle riunioni mancava un leader.
Al contrario, ci accorgiamo della sua presenza quando, finito l’incontro, ci rimane un’impronta persistente dentro il nostro cervello. Una specie di tatuaggio cognitivo in cui sono disegnate la direzione, la resilienza, l’azione.


Buongiorno Sergio,
Io penso di avere tutte le caratteristiche sopra descritte
tranne l’attenzione al Ficus Benjamin !!
Sarò comunque un Leader ??
Saluti
Fabio
L’attenzione al Ficus Benjamin è una skill fondamentale per un leader 😉