Mentre Pompei cade a pezzi, il ministro Franceschini taglia il nastro di VeryBello!, il portalone degli eventi culturali italiani fatto apposta per Expo2015. Sul progetto ne sono state già dette (a ragione) di cotte e di crude e non è mia attenzione gettare altra benzina sul fuoco. Almeno per quanto riguarda la dilettantesca improvvisazione con la quale è stato messo in piedi.
Piuttosto, mi pare un’ulteriore prova dell’italica propensione a nascondere la polvere sotto il tappeto o, in altri termini, cercare di dare la cipria a un cadavere. Gli annunci mirabolanti sulla Buona Scuola (ormai definita “semplicemente” 2.0) e questi cataloghi online del Bel Paese che cozzano violentemente con la situazione offline (interi paesi sott’acqua, mura medievali che franano, oasi protette sfregiate dai veleni industriali) sono uniti da un filo ininterrotto di “politiche del quotidiano”, quasi mai protese a interventi davvero strutturali.
Insomma, da una parte si annuncia l’arrivo di migliaia di tablet e di lavagne multimediali per scuole pericolanti e dall’altra si mettono in vetrina i lustrini di un territorio perennemente a rischio idrogeologico, sia che piova, che nevichi o che ci sia la siccità.
Per l’Unesco l’Italia ha il più alto numero mondiale di beni “patrimonio dell’umanità”, nonostante ciò la nostra spesa culturale sfiora l’1,1% del Pil, contro il doppio della media dell’Ue. In questa situazione, già di per sé disastrosa, va aggiunto che meno del 20% dei quindicenni italiani è in grado di leggere correntemente.
La realtà è che un’irragionevole ragioneria (“Con la cultura non si mangia”, ex-ministro Giulio Tremonti) ha determinato uno stato con 22 milioni di semi analfabeti (indagine OCSE, 2010) e con un livello cognitivo-culturale pari a quello di popolazioni “sconnesse” dalla rete e prive di qualsiasi forma (anche elementare) di tecnologia.
È vero, c’è in atto una crisi economica drammatica, ma ce n’è un’altra ancora più devastante. Una crisi invisibile che nel disinteresse generale rischia di minare le basi stesse del confronto democratico: la crisi dell’istruzione.
Lo ripeto ancora una volta. Proprio quando vengono a mancare le certezze (e i soldi) c’è solo un modo per ripartire: investire e credere (per davvero) nella scuola. Lo dice l’articolo 34 della Costituzione, lo dice la storia delle generazioni, lo dice la nostra speranza nell’avvenire.
Una scuola che insegna a pochi non è democratica, ma non lo è nemmeno una scuola che insegna poco a tutti.
Fatta male, e magari in maniera parziale e insufficiente, la buona e vecchia ora di “educazione civica” portava comunque in sé il seme del rispetto e, mi permetto di aggiungere, il senso della bellezza per le cose di tutti. Un senso di appartenenza a una comunità che oggi mi pare sempre più in bilico fra il disinteresse generale e l’invocazione del “pugno di ferro”.
Solo una politica miope (che però quando si tratta di comprare costosissimi, quanto inutili, cacciabombardieri ci vede benissimo) può non scorgere il rapporto, più che intimo, fra la consapevolezza di conoscere i valori del proprio paese (di apprezzarne e salvaguardarne la bellezza) e gli stili di vita basati sulla mobilità intelligente, sul risparmio energetico, sul riciclaggio di rifiuti sempre più “preziosi”. Questo dovrebbe essere il senso di una scuola (buona) che prepara, indipendentemente dal loro ruolo futuro, i dirigenti (politici e non) di domani.
Oggi abbiamo delle generazioni ancora più povere di quelle precedenti. È una questione di privazioni sul piano materiale, ma anche di deficit rispetto alle conoscenze linguistiche, storiche, analitiche. Non sapere collocare cronologicamente il Risorgimento e la Resistenza, oppure quant’è l’1% di cento non è solo un problema per il voto sulla pagella, è soprattutto un disastro che si riverbererà fino alla vita adulta. Dalla non conoscenza nascono le deturpazioni del paesaggio, i razzismi in tutte le forme, le intolleranze verso le altre culture, il qualunquismo per gli strumenti di partecipazione democratica, il disagio sociale e le marginalità esistenziali.
Purtroppo, VeryBello! e la Buona Scuola senza consistenti interventi strutturali (materiali e culturali) a lungo termine non riusciranno a saldare il costo dell’ignoranza. Un costo fatto di patrimoni artistici deturpati e abbandonati, di servizi pubblici inefficienti, di comunità che si sfaldano, di servizi sociali che non riescono più ad arginare il vuoto che avvolge le nostre città.