Il Capodanno è trascorso solo da pochi giorni, ma già l’augurante “Felice Anno Nuovo” si è ridotto a un flebile sussurro. A dire il vero, anche quando è nel momento del suo massimo splendore, questo auspicio si porta sempre dietro un sapore stereotipato e di assoluta circostanza.
Di contro, sappiamo bene come la felicità sia propedeutica alla salute e, di converso, a una vita più longeva. Del resto, non è un caso che si stiano diffondendo vere e proprie “scale della felicità” in grado di misurare il progresso sociale e il buon esito delle politiche pubbliche. Per dirne una, la Felicità Interna Lorda (FIL) si pone come indicatore alternativo al ben più noto Prodotto Interno Lordo (PIL).
Tuttavia, la felicità non è qualcosa che ci capita all’improvviso. Sono i nostri comportamenti a stimolarla e spesso ciò avviene attraverso variazioni minime che apportiamo alla nostra condotta. In ogni caso, si tratta sempre di meccanismi esperienziali praticabili da tutti.
La felicità ce l’abbiamo dentro
Affrontare ogni giorno con ottimismo significa essere in grado di domare le preoccupazioni, le avversità, i pensieri negativi. Per effetto del nostro adattamento evolutivo, siamo più inclini a rimuginare sulle cose negative. Il perché è semplice: riconoscere le situazioni pericolose e dolorose ci aiuta a evitarle e, in altri casi, a sapere come reagire di conseguenza quando si ripropongono.
La vera sfida è fare in modo che i pensieri negativi non ci paralizzino. Paradossalmente, ciò si verifica quando cerchiamo di schivarli o, peggio, ignorarli. Fateci caso, tutte le volte che, per paura o altro, diciamo a noi stessi “Non ci devo pensare”, ecco che otteniamo come risultato quello di pensarci di più, con l’aggravante di non affrontare la situazione.
Saper riconoscere le proprie preoccupazioni è il primo passo verso la felicità. “Ho paura di fare un lavoro sbagliato”, “La mia situazione lavorativa mi ossessiona”, “Non ho il coraggio di cambiare” sono solo alcuni “grattacapi” che possiamo risolvere, almeno sotto il profilo del miglioramento dello stato d’animo, sfidando il pensiero negativo.
Il metodo vincente: botta e risposta con Platone
Passare da una mentalità negativa (“Sono un fallimento totale e le cose potranno solo peggiorare”) a una positiva (“Ho fatto molte cose buone, questo è solo un piccolo ostacolo che non toglie nulla ai miei successi, anzi mi sarà da stimolo per migliorare ulteriormente”) è fondamentale per vivere felicemente tutte le esperienze che ci potranno capitare.
Il metodo socratico è una tecnica basata su domande e risposte rivolte a noi stessi con lo scopo di confutare “prese di posizione” che, se lasciate decantare, finirebbero per fossilizzarsi.
Primo passo, descrivere il problema. Dare un nome a qualcosa che ci turba è già di per se una mezza soluzione (es. “Sono insoddisfatto del mio lavoro, temo di non avere le capacità necessarie”).
Di seguito, procediamo con le domande:
“Quali sono le prove di questa constatazione?”
“Si tratta di fatti oggettivi o sono solo mie sensazioni?”
“È possibile che non abbia compreso bene tutto il contesto?”
“Le altre persone, vedono la mia situazione come la vedo io?”
“Se questa faccenda fosse capitata a un mio amico, quali suggerimenti gli avrei dato?”
Evidentemente, non esiste la bacchetta magica. Ad ogni buon conto, mettersi nell’ordine di idee di combattere il pensiero negativo significa agire e tutte le volte che lo facciamo muoviamo un passo verso una vita più felice.
Diamoci una mossa
Siamo indolenti, lo so. Fare un po’ di attività fisica ci pesa così tanto che finiamo per rifugiarci nel comodo alibi del “non ho tempo”, quando in realtà sono le motivazioni (e solo quelle) che ci mancano. Soffermiamoci su questo punto: è proprio quando non abbiamo voglia di fare una corsetta o di andare in palestra che ne abbiamo più bisogno.
Una sensazione che abbiamo sperimentato tutti è quella del benessere diffuso che ci lascia un’attività fisica appena svolta. Aumenta il buon umore e anche la respirazione si sincronizza con la concentrazione, in poche parole accresciamo il nostro tasso di felicità.
L’ottimismo è una medicina miracolosa
Non credo c’entri molto la genetica, piuttosto sono convinto che sia sempre possibile apprendere un modo positivo per affrontare la realtà delle cose. Ciò non significa ignorare i fatti negativi e fare finta di niente, ma considerarli parte integrante di una sfida entusiasmante. “Ho perso il lavoro e non mi riprenderò mai più da questa botta” è l’atteggiamento del pessimista, “Ho perso il lavoro, so che mi aspettano tempi difficili, ma sono sicuro che troverò qualcosa di meglio e sarà anche l’occasione per incrementare le mie capacità” è la modalità con cui affronta il mondo l’ottimista.
Praticare ottimismo significa essere consapevoli che le avversità capitano, ma non per questo dobbiamo smettere di essere riconoscenti per la fortuna che la vita in ogni caso ci riserva.
Felicità significa sviluppare una prospettiva
Invecchiamo, non è una novità. Molte delle cose che oggi pratichiamo non le potremo più fare (almeno nella stessa misura), ma è sempre possibile entusiasmarsi per uno scopo e dare significato all’esistenza nonostante le malattie, il rallentamento cognitivo, la compromissione di alcune funzioni fisiche.
La chiave per riuscirci? Trascorrere più tempo con le persone anziane e cogliere cosa dà piacere ai loro anni. Il vero deposito di saggezza non è riuscire a fare cose nuove nonostante la vecchiaia, ma fare cose nuove grazie alla vecchiaia.