L’attenzione che ci manca

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Una bambina concentrata con delle costruzioni.

C’è il troppo di ogni cosa. È il messaggio che Franco Arminio affida alla sua poesia per tornare a dare “valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza”.

L’assordante rumore delle distrazioni ci rende incapaci di concentrarci su qualsiasi cosa, anche per periodi relativamente brevi. Viviamo una fase storica che sembra essere stata progettata per insidiare continuamente il nostro tasso di attenzione. In un certo senso, ogni messa a fuoco è contesa da un altrove più luccicante, spesso addirittura abbagliante.

L’onlife è dopaminergico a tal punto da far percepire i device tecnologici alla stregua di vere e proprie estensioni biologiche. La distanza di un click (o di un tap) da tutto, finisce per frammentare l’attenzione, compromettendo drasticamente la nostra capacità di dedicarci a compiti complessi e impegnativi.

Prima che sia troppo tardi (e forse lo è già), andrebbero riprogettati, in termini di incremento dell’attenzione, tutti i vari momenti dell’apprendimento, dalla scuola alla formazione professionale. Non c’è in ballo solo l’arricchimento della conoscenza, ma anche l’approccio a tutte quelle faccende della vita che richiedono il massimo della concentrazione (la valutazione di un investimento, il senso di un’informazione, l’impatto sulla nostra carriera di una trasformazione tecnologica o normativa).

Quando perdiamo la concentrazione?

Appena scompare dalla nostra vista il traguardo, prende istantaneamente campo il disimpegno. Ricordiamoci che la gratificazione immediata, per effetto della grande produzione di dopamina, vince sempre su quella ritardata. Per questa ragione, rimaniamo incollati su YouTube a guardare i video di indiani che costruiscono delle piscine a mani nude nella giungla, ben sapendo che sarebbe molto più utile sbrigare la mole consistente di lavoro che ci attende.

Pertanto, la strategia più efficace consiste, da un lato, nella suddivisione di un argomento complesso in diverse parti più piccole con i relativi traguardi sempre a “portata ottica”, dall’altro, nel “collegare i puntini” mediante schemi da disegnare su un foglio di carta.

Tutte le volte che ci disconnettiamo

Tuttavia, i nemici della concentrazione si nascondono anche dove meno ce lo aspettiamo. Se in una lezione a scuola o in un corso di formazione non viene continuamente stimolata l’interazione, prendono il sopravvento le cosiddette convinzioni limitanti.

La loro natura è tendenzialmente infinita. Si va dal classico “perché devo ascoltare se non ho un’opinione al riguardo?” al più protettivo “meglio tacere e farmi gli affari miei, anziché dire delle cose stupide”.

Quando non c’è interazione fra i ruoli (chi parla e chi ascolta), è automatica l’invasione delle emozioni negative. Si tratta di una forma di auto-protezione che ci fa evitare il pericolo di una possibile minaccia per la nostra reputazione. Siccome il cervello non è grado di distinguere un fatto reale da uno vividamente immaginato, nel dubbio sceglie sempre la linea più difensiva.

Allora, affinché l’insegnamento, in senso lato, possa contare su un accettabile livello di attenzione, è indispensabile prendere consapevolezza dell’estrema vulnerabilità di tutti i soggetti coinvolti. E anche chi siede sulla cattedra non è esente.

Accettare la vulnerabilità significa abbassare le nostre difese (spesso solo percepite) e dare spazio alla fiducia in noi stessi e negli altri.

Una lezione ha senso solo se impara anche il docente. Del resto, quando parliamo diciamo solo cose che sappiamo, mentre è grazie all’ascolto che veniamo a conoscenza di cose nuove.

Appare quindi chiaro che se non si instaurano fin da subito i presupposti dell’attenzione, l’interazione va a farsi benedire.

Indipendentemente dalla materia o dall’argomento che verranno trattati, ci sono almeno tre aspetti da chiarire prima ancora di entrare nel merito della lezione:

– la paura di essere giudicati esiste, ma va accettata in quanto caratteristica inscindibile dall’essere umano;

– il pregiudizio della negatività esalta la preoccupazione a immaginare sempre il peggior scenario possibile, ma grazie all’inversione del pensiero, ogni sbaglio lo possiamo vedere come un’esperienza da valorizzare;

– un’opinione riformulata sotto forma di domanda toglie di mezzo l’imbarazzo di apparire troppo diretti o, addirittura, offensivi (es. passare da “non funzionerà mai!” a “quali elementi potrebbero fare fallire il progetto?”).

Foto di Design_Miss_C

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Ci vorrebbe l’anno dell’attenzione
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Ci vorrebbe l’anno dell’attenzione
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Siamo costantemente bombardati da distrazioni: dalle notifiche del telefono alle pubblicità, dai social media alle email.
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Sergio Gridelli Blog
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Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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