Tralascio volutamente di definire i confini temporali della “certa età”, del resto ognuno ha la propria, e mi avventuro in quella che si potrebbe chiamare la sfida eterna della sociologia. Ovvero, quella di osservare le nostre mutazioni personali, ben sapendo di essere al tempo stesso l’osservato e l’osservante.
Tuttavia, nonostante queste “limitazioni” concettuali, posso affermare che con l’avanzare dell’età gli spigoli della vita diventano via via sempre più smussati. Per meglio dire, impariamo (a nostre spese) a distinguere ciò che è davvero importante da ciò che non lo è affatto (ma che aveva un gran peso solo qualche tempo addietro).
Niente di personale
Ogni giorno accadono un sacco di cose attorno a noi e, senza farci nemmeno tanto caso, siamo portati a pensare che tutto ci riguardi direttamente. Sia che ci venga fatta un’osservazione su un lavoro che abbiamo eseguito, sia che una notizia ci metta di cattivo umore o, semplicemente, ci “cambi la giornata”, per un lungo periodo della nostra vita la buttiamo sempre sul personale (“non stanno criticando il mio lavoro, ma me”, “non si tratta di un fatto estraneo, ma del mio stato d’animo”, “In fondo in fondo parlava di me”).
Il “distacco” dal coinvolgimento personale si verifica quando realizzi che chi ti rifiuta, ti critica o, addirittura, ti aggredisce, ha più problemi con se stesso che con te. Sta combattendo contro i suoi valori (o disvalori) e vede in te il riflesso delle sue debolezze. Dopotutto, figurati se le persone pensano a te, prese come sono a ritenere che tutte le cose del mondo riguardino esclusivamente loro.
Così, quando sbaglio qualcosa ho smesso di pensare di essere una persona fallita. Semplicemente, ho commesso un errore.
Siamo in grado di dare un senso alle cose belle perché esistono (fortunatamente) quelle brutte, e solo compiendo questo salto di pensiero possiamo sopportare l’ineluttabilità della morte in quanto espressione necessaria della vita. La sofferenza è democratica e affligge tutti, “tutto bene o niente” non fa parte del sistema.
Non tutte le idee sono scolpite nel marmo
Se penso a quanto tempo ho sprecato – facendomi anche il sangue amaro – per sostenere alcune mie convinzioni che si sono poi rivelate fallaci, mi rammarico del fatto di non aver capito prima questa verità fondamentale.
Sia ben chiaro, c’è chi è morto per le idee di libertà, per l’affermazione dei diritti umani, per la conquista di condizioni di vita migliori, e non sono queste le convinzioni ideali cui faccio riferimento.
Prendiamo, per esempio, le furibonde liti che scoppiano nei bar (e non solo) fra i sostenitori di squadre di calcio opposte. Nonostante la Var, il rigore fischiato contro la propria squadra non c’è mai, mentre quello assegnato a favore è sempre sacrosanto.
Il tifo è un caso emblematico di come il sostegno a un club non sia semplicemente una passione sportiva, ma una componente chiave della nostra stessa identità. Per cui, quando viene attaccata la nostra squadra del cuore, è come se venisse messa in discussione la nostra stessa persona.
Riflettiamo. Cambiamo molto più facilmente fede politica o religiosa che quella calcistica. E ho detto tutto.
Se cominciamo a considerare anche il lato opposto delle nostre supposizioni (“cosa succederebbe in caso contrario?”) arriviamo a valutare, col sano beneficio del dubbio, quanto tengono davvero le nostre convinzioni. Del resto, la capacità di analisi dipende sempre dal livello delle nostre conoscenze o, che è lo stesso, dal tasso della nostra ignoranza.
La bellezza dell’incertezza
Passiamo gran parte della nostra vita avvinghiati al principio di azione e risultato. A scuola studiamo perché sappiamo che verremo interrogati e al lavoro portiamo a termine un compito perché è per quello che veniamo retribuiti.
Ma siamo sicuri che la realtà funzioni esattamente in questo modo? Direi proprio di no. Quando ci licenziamo per cambiare occupazione, nessuno (nemmeno noi) saprà mai a priori se avremo fatto la cosa migliore, lo stesso vale per le relazioni sentimentali e per qualsiasi altra decisione che dobbiamo prendere. È praticamente impossibile avere la certezza, in quei momenti, di fare la cosa giusta.
E quindi? Quindi, evitiamo di prendere decisioni e ci chiudiamo a doppia mandata dentro le solite faccende che affollano la nostra zona di comfort. Insomma, per agire abbiamo bisogno di conoscere l’esito finale.
Invece, cos’è la curiosità se non quella molla che ci spinge verso l’irrisolto, l’indefinito, l’eccitazione per una scoperta? Ed è proprio nelle situazioni di scarsa visibilità che riusciremo a conquistare i migliori successi della nostra vita.
Per dire, recentemente ho comprato su Udemy un corso per modificare i fogli di stile di WordPress. Non sono un programmatore, non lo diventerò mai (mai dire mai), non me ne farò nulla, ma mi sono divertito.
Evidentemente, non avevo pianificato nessun risultato pratico, ero attratto solo dal fascino della novità.
Tempo buttato? Nemmeno per sogno! Ho capito, una volta di più, che la bellezza si nasconde anche nel piacere di fare qualcosa per il semplice gusto di farla.
Come al solito, lettura piacevolissima. Bravo
Grazie Fausto!