Perché le aziende devono guardarsi dentro

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Scritta: la passione ci ha portato qui

È ormai una strategia di comunicazione piuttosto diffusa quella di mostrare i valori aziendali prima ancora dei prodotti. Anzi, in molti casi, i prodotti non si vedono proprio.

Tuttavia, questa metamorfosi non sempre è convincente. Infatti, a fronte di un messaggio dal potente coinvolgimento emotivo (quante volte abbiamo sentito dire che la pubblicità deve emozionare?), conti alla mano – è proprio il caso di dirlo – rimane irrisolta la questione dell’accostamento antitetico fra “fare impresa”, quindi lucrare, e responsabilizzazione sociale, ovvero uno sguardo spesso incompatibile con le cosiddette esigenze del mercato.

La questione è antica e, con le varie teorizzazioni sulla morale, segna l’evoluzione di un dibattito che da Aristotele arriva fino ai giorni nostri. Ma la Corporate Social Responsibility non sarebbe quella che oggi comunemente definiamo come tale se Kant non avesse accorciato la distanza fra profitto ed etica, considerando quest’ultima un mezzo, anziché un fine.

Ecco allora che si comprende come la rappresentazione dell’identità aziendale non possa essere sostenuta solo dal bellissimo spot milionario dove tutti vivono (artificiosamente) felici e contenti, ma debba affondare le proprie radici in un sistema in cui le due istanze, individuale (profitto) e collettiva (sociale), fanno sintesi sulla più autentica delle interazioni umane.

Per semplificare, solo quando coincidono gli obiettivi dell’azienda e di ciascun suo collaboratore possiamo parlare di un miglioramento globale del sistema. L’ossimoro di “impresa sociale” può pertanto assumere caratteri di concretezza unicamente nella dialettica continua fra immateriale (etica) e materiale (guadagno).

Fare impresa significa fare cultura

Il concetto di “cultura aziendale” non manca mai nei dibattiti, ma come spesso succede resta solo una bella medaglia (di latta) da appuntarsi al petto. Per scoprirlo, è sufficiente far descrivere, rispettivamente dalla dirigenza e dai dipendenti, le principali caratteristiche aziendali e poi compararle.

Nella stragrande maggioranza dei casi ciò che si ricava è una distanza siderale fra quanto è importante il lavoro e quanto, invece, è rilevante la vita privata delle persone.

La migliore comunicazione esterna non regge il confronto con la mancanza di un’adeguata comunicazione interna. I valori fondamentali di un’azienda restano delle semplici parole d’ordine (leggasi slogan) fino a quando anche l’ultimo ruolo operativo non si sente coinvolto nei flussi di lavoro, nelle interazioni fra i vari settori, nelle convinzioni strategiche dell’azienda.

Sostenitori o critici?

Il primo vero investimento pubblicitario di un’azienda consiste nel trasformare i propri dipendenti in sostenitori. Compreresti un prodotto o un servizio da un’azienda dove i suoi collaboratori sono i primi a non farlo?

Le persone non sono numeri di matricola, ma sono, per l’appunto, persone. Non c’è in ballo solo la giusta remunerazione (la schiavitù è stata abolita, anche se pare che a qualcuno sia sfuggita la notizia), ma la percezione di fare un lavoro importante e apprezzato.

In questo senso, un’efficace cultura aziendale è quella che celebra i successi della squadra e, quando le cose vanno per il verso sbagliato, non ha come obiettivo primario quello di andare a scovare il responsabile, ma di riportare l’organizzazione in equilibrio il prima possibile.

È questo il senso di appartenenza che rende le persone migliori. Sentirsi comunità, e non un ingranaggio anonimo di ruote altrettanto anonime, fa sì che i vari reparti aziendali si compensino a vicenda.

Da gruppo a squadra

Il gruppo non è una squadra. Il gruppo è qualcosa di informale che non ha precisi traguardi da raggiungere. Per dire, se saltiamo la cena annuale con i vecchi compagni delle elementari non succede nulla di particolarmente grave.

All’opposto, la squadra ha uno o più obiettivi che può perseguire solo grazie all’azione corale di tutti i suoi componenti. In parallelo, se in squadra hai Ronaldo e dieci brocchi che addirittura odiano il fenomeno, non vinci nemmeno la proverbiale partita fra scapoli e ammogliati.

La reale connessione fra le persone e i valori aziendali avviene quando il successo delle prestazioni contempla, oltre al risultato economico, anche il benessere individuale. Ovvero, l’attenzione per la salute fisica e mentale dei collaboratori.

In definitiva, la cultura aziendale non può che essere inquadrata dentro una prospettiva olistica dove il supporto per chi manifesta delle difficoltà, la necessaria flessibilità che tiene conto della sfera privata e l’accettazione sincera dei diversi punti di vista, concorrono al raggiungimento della ricchezza. All’interno della quale, è sempre meglio rimarcarlo, una grande parte è intangibile.

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Tutti parlano di cultura aziendale, ma viene davvero messa in atto? Esiste solo quando gli interessi individuali e collettivi dialogano.
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Sergio Gridelli Blog
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Categorie: Coaching

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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