Gramsci ha ragione, non esiste una demarcazione netta fra un anno e l’altro. Capodanno è tutti i giorni se ogni mattina ci svegliamo con la volontà di fare sempre del nostro meglio. Pertanto, non sarò io a dirvi di tirare una riga sull’anno passato e fissare nuovamente il punto zero di tutti i buoni propositi (salute, affetti, carriera). Lo fanno già in tanti, dagli astrologi agli economisti, passando per gli immancabili opinionisti da talk show.
Ci sono degli obiettivi più insoliti, raggiungibili e vantaggiosi cui possiamo aspirare, fregandocene del calendario e delle sue effimere scadenze. Tutti siamo colpevoli per l’uso eccessivo di alcune parole, di certi modi di dire, di talune locuzioni gergali che rendono la nostra comunicazione (scritta e parlata) alquanto plasticosa, prevedibile e scontata.
Anche al tempo della simultaneità comunicativa dominata dalle immagini, saper utilizzare le parole, poche e giuste, al momento opportuno si trasforma in un’abilità estremamente vantaggiosa in tutti i campi. Perché allora non iniziamo (ogni giorno è buono) a dare una ripulita al nostro vocabolario?
[bctt tweet=”Non esiste una magia come quella delle parole. (Anatole France)”]
Per esempio, io mi sto allenando (quotidianamente) per sopprimere questi dieci “difetti” lessicali.
1) Siamo nel 2016
Vale per quest’anno, ma era molto in voga anche in passato. Rimarcare l’anno corrente, che di per sé non significa nulla, ha probabilmente lo scopo di tagliare corto e decretare repentinamente una cosa o un’idea fuori dal tempo. Anziché appellarsi alla presunta modernità dell’anno in corso, dedichiamo più tempo a interrogarci sulle diverse velocità del mondo.
2) Potrei
Dire “potrei fare” porta con sé il retrogusto appiccicoso del dubbio. “Lo faccio”, all’opposto, ci dà la carica e la motivazione giusta per affrontare nel modo corretto la situazione.
3) Dovrei
Limitarsi a contemplare ciò che dovremmo fare è solo una perdita di tempo e tanta energia sprecata. Agire è l’unico modo che ci fa spingere i nostri limiti sempre un po’ più avanti.
[bctt tweet=”Le parole sono finestre, oppure muri. (Marshall B. Rosenberg)”]
4) Non sono sicuro
L’onestà è una grande virtù. Tuttavia, essere assillati continuamente dal dubbio circa la fondatezza delle nostre competenze non ci fa certo migliorare. Quindi, investiamo più proficuamente le nostre capacità per anticipare scenari, criticità, debolezze. Tutti sbagliamo, ma è da qui che viene alimentata l’esperienza.
5) Io penso
Tutte le volte che iniziamo un discorso con “io penso” introduciamo anche un vago senso di incertezza. In realtà, stiamo affermando quello che noi pensiamo, non un dato oggettivo. Ciò spalanca le porte a una marea di opinioni alternative, che può andare bene in un contesto di brainstorming, ma è assolutamente da evitare quando facciamo dichiarazioni autorevoli.
6) Probabilmente
Quando parliamo e scriviamo, la chiarezza e la sicurezza sono sempre le carte vincenti. Se lasciamo spazio alle ambiguità e ai dubbi, fioccano le interpretazioni ed entriamo in un vortice autoalimentante da cui è molto difficile uscirne.
7) Incredibile
È incredibile quante volte ce la caviamo con questa sola parola. Non che sia un brutto termine, ma ormai è diventato il salvataggio “in calcio d’angolo” che ci evita commenti più articolati. Ascoltiamo la narrazione di un fatto e questa parola la buttiamo lì, quasi fosse un effetto condizionato. Spesso, rimane anche l’unico.
8) Wow
Potrebbe essere vista come la diretta discendente della precedente, ma è figlia di un equivoco. La usiamo quasi esclusivamente per esprimere rapidamente un’espressione di meraviglia, dimenticandoci (o non sapendolo proprio) che il verbo inglese (to wow) significa anche gnaulare, lamentarsi, gemere. In un caso o nell’altro, facciamo sempre lo sforzo di dire perché siamo entusiasti o perché disapproviamo.
9) Letteralmente
Deve la sua fortuna, si fa per dire, al suo contrario “approssimativamente”. Quindi, ne abusiamo per scampare al pericolo di passare per dei superficiali che utilizzano le parole a caso. La necessità, il più delle volte inessenziale, di rimarcare il significato parola-per-parola lascia sempre un sapore stucchevole e velatamente saccente.
10) Per ovvi motivi
Il problema è che non si sa (quasi) mai quali siano questi ovvi motivi. La frase in questione viene spesso utilizzata quando non si ha voglia di argomentare. Al di là della pigrizia, queste tre parole hanno un connotato piuttosto infantile al pari di, per esempio, “Perché? Perché è così”.
A margine, ma solo perché mi è balzata agli occhi stamattina durante il mio usuale giro sui social media, sottolineo la famigerata “Gli studi dimostrano che…”. Quali studi? Chi li ha fatti? Con quale metodologia?
Questo catenaccio lessicale prende spunto, nella migliore delle ipotesi, da una ricerca scientifica reale che viene svuotata di tutto il contesto (scopi, analisi, conclusioni) e presentata solo attraverso la parte che interessa. Vengono così spacciate per scoperte rivoluzionarie null’altro che misere mistificazioni.
Naturalmente, saranno sempre le circostanze a consigliare le parole più efficaci. Come regola generale (il decalogo vuole rappresentare unicamente uno spunto di riflessione) prendiamo per buono il precetto secondo il quale la nostra immagine positiva si afferma rifuggendo da terminologie che evidenziano il dubbio, l’insicurezza, la sfiducia.
Se il pensiero è il primo movimento dell’azione, le parole sono l’energia della motivazione.