“Io non leggo mai, non leggo libri, cose… pecché che comincio a leggere mo’ che so’ grande? Che i libri so’ milioni, milioni, non li raggiungo mai, capito? pecché io so’ uno a leggere, là so’ milioni a scrivere, cioè un milione di persone e io uno mentre ne leggo uno… ma che m’emporta a me?” (Massimo Troisi. Il mondo intero proprio – pensieri e battute)
Si può apprendere in molti modi, ma i libri, nelle loro forme digitali e analogiche, sono senza dubbio una delle soluzioni più a buon mercato. Una volta superata la distorsione scolastica di “leggere per obbligo”, ragione per cui I promessi sposi sono una delle opere letterarie più odiate da intere generazioni di studenti, cominciamo a scegliere cosa leggere.
Le motivazioni che ci portano ad acquistare un libro possono essere diverse, dal piacere puro e semplice alla crescita personale e professionale, ma in tutto questo ci sono almeno due costanti.
La prima si pone più sul versante psicologico, vale a dire ciò che i giapponesi chiamano Tsundoku, e cioè l’accumulo di libri che “prima o poi leggeremo” (quando?). Al netto del fenomeno compulsivo, ogni nostra libreria casalinga è una sorta di museo della nostra vita passata. Un’esposizione di libri mai letti che però raccontano chi eravamo, con i nostri fantasmi e con i nostri ricordi.
La seconda fa specifico riferimento al metodo, e qui si inserisce l’innata pulsione di conoscere tutto ciò che ignoriamo. Sarebbe semplicistico ridurre questo bisogno alla sola saggistica o alle pubblicazioni settoriali, perché anche nel romanzo si trovano fotografie tridimensionali del nostro stare nel mondo. E alla fine dei conti diventeranno tutti arnesi che andranno ad arricchire la nostra cassetta cognitiva degli attrezzi.
Leggere ci mette nella condizione di risolvere i problemi
Ognuno di noi vive all’interno di spazi problematici, fisici e astratti. Il dilemma ricorrente è come arrivare a B partendo da un punto A che spesso non siamo nemmeno in grado di definire. Cioè, sappiamo qual è la meta, ma ignoriamo le condizioni in cui ci troviamo. È come affrontare un viaggio senza sapere se abbiamo a disposizione una bicicletta, un’automobile o un aeroplano.
Il noto effetto Dunning-Kruger (EDK) che spopola sulle piattaforme social, è in larga parte una conseguenza della diffusa refrattarietà ai libri da parte di individui i quali, di contro, si ritengono comunque molto esperti di qualsiasi materia.
“Suppongo che se l’unica cosa che hai è un martello sia allettante trattare tutto come fosse un chiodo”, difficile dirlo meglio di Abraham Maslow. Game, set, match.
L’apprendimento si costituisce attraverso una specie di moto continuo. L’elevazione del nostro grado di sapere dipende da ciò che abbiamo già acquisito. Significa che più conoscenza abbiamo, maggiore sarà la possibilità di integrazione con le nuove cose che andremo a immagazzinare. Come dire, abbiamo poche speranze di capire i logaritmi ignorando completamente cosa siano le elevazioni a potenza.
Ovviamente, a tutto questo c’è un limite, altrimenti dovremmo disporre di una “larghezza di banda” mentale infinita. Infatti, sappiamo che il collo di bottiglia dell’apprendimento è la memoria, cioè quel “sistema” che trasforma le idee in conoscenza persistente.
Ciò porterebbe a pensare che, per dirla con Troisi, leggere sarebbe una battaglia persa in partenza. Ma la questione non riguarda solo l’incolmabile divario fra le forze in campo, ci va di mezzo anche la nostra naturale predisposizione biologica a dimenticare.
Se da un lato è vero che ricordiamo molto poco delle nozioni apprese sui banchi di scuola, dall’altro è altrettanto indubitabile come con relativo poco sforzo possiamo nuovamente apprenderle. È come se la memoria si riaccendesse.
Ecco allora che le connessioni svelano la pallottola d’argento racchiusa dentro la lettura. I libri non fanno altro che rianimare continuamente la memoria e permetterci di muoverci con maggiore sicurezza dentro la complessità che ci circonda.
Foto di Tim Mossholder