Per decenni abbiamo fumato allegramente nei locali pubblici, e ci sembrava una cosa “normale”. Ora, se qualcuno si azzardasse solo a tirare fuori l’accendino nella sala di un cinema, verrebbe messo al rogo. Le cose sono “scontate” fino a quando un movimento di persone e di idee, dati alla mano, non le mette in discussione.
Oggi si “accetta” (non tutti, ma comunque la maggioranza) che sia “normale” comprare un pc con un sistema operativo pre-installato. Di contro, scoppierebbe la rivoluzione se una volta acquistata un’autovettura dovessimo rifornirla esclusivamente e obbligatoriamente sempre dalla stessa pompa di benzina.
Certo, fino a quando nessuno fa scoppiare la contraddizione tutto si perpetua all’infinito. Se l’umanità si fosse accontentata del “si è sempre fatto così…”, oggi non ci scambieremmo i dati nelle cloud, ma con le tavolette di cera.
L’informatica e la telematica sono strumenti per la conoscenza, la quale è libera per definizione. Vi immaginate una situazione in cui la maggior parte dei libri si potesse leggere esclusivamente con uno specifico tipo di occhiali, prodotto e commercializzato solo da una determinata azienda?
Detto questo, e pensando all’enfasi con la quale è stata presentata la consultazione pubblica per la promozione della Buona Scuola (15 settembre – 15 novembre 2014), è piuttosto stucchevole che appena una settimana dopo sia stato siglato l’Accordo per la Trasformazione dell’Istruzione tra Microsoft e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI).
Chiaro, Microsoft è un player economico e cerca di massimizzare i propri profitti. Tuttavia, quello che non torna è la perfetta sintonia di vedute fra Carlo Purassanta, Amministratore Delegato di Microsoft Italia e Angelo Riccaboni, Presidente della Fondazione CRUI
Dai Dipartimenti devono uscire sempre più studenti con competenze informatiche adeguate alle richieste del mercato del lavoro.
Senza rifare la storia dell’uomo dall’invenzione della ruota ai giorni nostri, il software è sapere e come tale non è nemmeno lontanamente pensabile che si possa mettere sotto chiave dentro programmi di cui nessuno ne conosce il funzionamento. Esiste un forte rapporto di dipendenza fra conoscenza, trasparenza e accessibilità, specie se si fa riferimento alla scuola come “luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica” (art. 1 DPR 249/1998).
La scuola (soprattutto quella buona per davvero) dovrebbe essere un ambiente formativo imparziale. Un luogo dove si utilizzano strumenti liberi e migliorabili (anche informatici) che contribuiscono allo sviluppo delle capacità di analisi in senso lato. Invece, oggi stiamo ammaestrando professionisti del “copia-incolla” e non creatori di futuro.
A forza di strutturare la scuola sulla base delle richieste del mercato si finisce per diplomare e laureare degli esecutori sostanzialmente acritici e privi di un proprio bagaglio di conoscenze flessibili.
Nel DNA di una Buona Scuola ci dovrebbe essere il coraggio della sfida al monopolio intellettuale imposto in via esclusiva dal profitto. Al momento, e spero di dovermi ricredere il più presto possibile, mi pare si stia andando esattamente nella direzione opposta.