“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”, è quello che Leopardi fa dire al passante nel dialogo con il venditore di almanacchi. La conferma che la felicità è cristallizzata nell’attesa di ciò che non si conosce, ovvero in quella speranza che ci accompagna da sempre e che ci fa immaginare un futuro migliore del passato e del presente.
“Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?”
“Appunto”.
Da quando veniamo al mondo viviamo intrappolati, senza soluzione di continuità, fra memorie e sogni. Nonostante ciò ci lanciamo in nuove risoluzioni ogni qualvolta il nostro piccolo pianeta fa un giro intorno al sole. Questo significa credere in un reset astronomico capace di rendere realizzabili gli obiettivi che abbiamo fissato, indipendentemente dal nostro impegno. Un po’ come sperare di vincere la lotteria di Capodanno senza comprare nemmeno un biglietto.
Forse perché in cuor suo nessuno è convinto per davvero dell’infallibilità della profezia e si fanno propositi ben auguranti in modalità del tutto generica (“Che sia un buon anno”, “Speriamo che vada meglio”, “Più fortuna dell’anno passato”), senza mettere nel conto l’impegno necessario per portare a casa il risultato.
Ogni anno, di questi giorni, ho come la sensazione che si voglia vincere la maratona senza mai aver corso per più di cinque minuti di fila. Ciò che accadrà ai nostri progetti non dipenderà dalle aleatorie (buone) intenzioni che faremo a noi stessi allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, ma da come saremo riusciti a imbastire nel tempo la tela dei legami fra attenzione e successi.
L’attenzione è il presupposto del successo. È indispensabile per capire, per imparare e, ovviamente, per ricordare. Ci dà l’opportunità di “leggere” le persone e da qui partire per costruire delle buone relazioni. Immaginare che tutto questo possa assumere caratteri di concretezza solo perché indossiamo qualcosa di rosso, ci baciamo sotto il vischio o ingurgitiamo chili di lenticchie, ha più a che fare con i rituali della pioggia che con il raggiungimento di un traguardo desiderato.
Non c’entrano nulla le profezie pirotecniche, ma è sempre la mancanza di concentrazione su noi stessi e sugli altri che ci fa appassire. Si sa, una pianta secca non ritorna a germogliare nemmeno se la annaffiamo con un idrante. In un certo senso , è questo il “miracolo” che vorremmo succedesse con il passaggio di testimone fra l’anno vecchio e quello nuovo.
Allora, se crediamo davvero nelle trasformazioni, cominciamo ogni giorno a dedicare più attenzione agli occhi di chi ci sta di fronte e meno alle notifiche che ci arrivano a ripetizione sullo smartphone.
In fondo, siamo qui per un tempo brevissimo per dimenticarci che in ogni carezza c’è un nuovo inizio.
Foto di Soroush Karimi
