Ci piace spaccare il mondo a metà, o quasi. Est e ovest, nord e sud, buoni e cattivi (“che poi così cattivi non sono mai…”, Loredana Bertè, Dedicato, 1979), e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Una di queste dicotomie aveva interessato anche Don Milani, “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri…” (L’obbedienza non è più una virtù, 1965), introducendo così un nuovo e più solidale significato di confine.
Con una semplificazione geniale, il grande Totò aveva invece suddiviso il genere umano in due categorie di persone: gli uomini e i caporali.
“Caporali si nasce, non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano (…) hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera.” (Totò Esposito, Siamo uomini o caporali?, 1955)
In questi giorni terribili, il senso d’impotenza della “categoria uomini”, ovvero coloro che sono costretti a vivere “senza vedere mai un raggio di sole, senza la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama”, li porta necessariamente a decrittare le parole, gli sguardi, i gesti dei padroni del mondo. I caporali, per l’appunto.
I caporali parlano, parlano, parlano
Il potere delle parole è poca cosa in confronto all’autorità che conferisce l’ascolto attivo. Generali, strateghi politici, giornalisti, tutti parlano incessantemente e nessuno ascolta. Non prestano orecchio nemmeno a quello che si dicono fra di loro.
E pensare che dovrebbe essere facile mettersi in pausa e ascoltare, ma a quanto pare è una virtù alquanto rara. Riservata a quei pochi che guardano il loro interlocutore negli occhi tutto il tempo e quando è il loro turno pronunciano l’unica parola che ha ancora un senso: pace.
I caporali sanno sempre tutto e il suo esatto contrario
“Voi non sapete chi sono io! I miei successi sono proverbiali, alla Scala di Milano, all’Ippopodromo di Londra… “ (Totò Esposito).
Lo sprezzo del ridicolo è il principale mestiere dei caporali. E sarebbe anche divertente, se non fosse che le loro parole (compreso il contrario delle stesse) provocano morte, sofferenza, distruzione.
Non fanno mai domande, ma hanno sempre tutte le risposte per qualsiasi evenienza, dall’epidemia alla guerra.
Tuttavia, se gli uomini si mettono di impegno scoprono che, alla fine dei conti, i caporali propongono solo dei problemi per ogni soluzione.
I caporali danno sempre la colpa a qualcuno
Quando le cose vanno male, i caporali non cercano le cause profonde che hanno determinato quello stato di cose, ma il loro unico obiettivo è quello di crocifiggere il presunto colpevole. E quando il nemico non c’è, se lo inventano.
C’è un abisso profondissimo fra ammettere la verità (per quanto a volte scomoda) e dare la colpa a qualcuno. Solo la verità porta alla soluzione delle controversie, mentre è sempre solo addossare la colpa a questo o a quell’altro che fa evitare di riflettere sulle proprie responsabilità.
I caporali sono al di fuori della storia degli uomini
La storia è un processo collettivo, continuo, inarrestabile. Quante volte abbiamo sentito dire “passare alla storia”? Immagino in una miriade di occasioni.
Ebbene, quel “passaggio” non riguarda mai i caporali, ma appartiene al sentimento di fratellanza dei tanti uomini che nel corso dei secoli si sono opposti alla follia della guerra.
Foto di Dids

