La formazione aziendale stenta a essere percepita come un potente fattore di crescita. Nonostante le agevolazioni fiscali, da un lato, e la contingenza di stare al passo con le trasformazioni, dall’altro, durante i corsi di formazione spesso si respira un’aria di sopportazione. “Togliamoci ‘sto peso, va’…”, sembra leggere negli occhi dei datori di lavoro e dei loro dipendenti.
Sicuramente, molto dipende dalla capacità di coinvolgimento del docente, ma sono convinto che c’entri anche l’idea, assai diffusa, che c’è un tempo della scuola dove si studia e ce n’è un altro, coincidente con il cosiddetto “ingresso nel mondo del lavoro”. Due momenti distinti che individuano altrettante fasi della vita.
In sintesi, sembra quasi che la conoscenza si acquisisca una volta per tutte solo stando dentro un’aula scolastica, come se tutto il sapere che ci permette di sfidare il mondo si cristallizzasse esclusivamente in quegli anni e su quei banchi.
Tuttavia, l’accelerazione impressa alle trasformazioni è così violenta che non facciamo tempo a impratichirci di qualcosa che ecco apparire nuovi scenari, pronti a farci gettare alle ortiche gran parte delle nozioni imparate fino a quel momento. Nonostante ciò, non sembra ci sia molta preoccupazione in giro, tanto che al tempo delle piattaforme di AI, sui curricula si legge ancora “buona conoscenza del computer e di Windows”. Come dire, si è talmente “attrezzati per il futuro” che non spaventerebbe nemmeno un’offerta d’impiego sulla stazione orbitante.
Tenere ferma la conoscenza in un mondo dove tutto cambia alla velocità della luce, equivale a fissare la stampante inceppata sperando che riprenda a funzionare da sola. Che lo si voglia o no, imparare da tutti e da tutto è la condizione essenziale che ci accompagnerà per tutta la vita.
Emil Cioran racconta che Socrate, mentre gli preparavano la cicuta che l’avrebbe ucciso da lì a poche ore, si esercitava con il flauto per imparare un’aria. E alla domanda “A cosa ti servirà?”, il filosofo non esita a rispondere “A sapere quest’aria prima di morire”. È l’essenza ultima della conoscenza, un vero e proprio antidoto all’inverno della decadenza che inevitabilmente attende ciascuno di noi. Che poi, detta fino in fondo, nessuna nuova conoscenza è inutile, in quanto anche “l’eccezione” individuale di Socrate è un piccolo passo verso la crescita della collettività a cui apparteniamo.
Il fisico americano John Archibald Wheeler ha osservato che “viviamo su un’isola circondata da un mare di ignoranza” e, di conseguenza, “quando cresce l’isola della conoscenza, cresce anche la costa della nostra ignoranza”. In altri termini, più impariamo e più ci accorgiamo di sapere molto poco. E non è forse questa l’unica spinta che abbiamo per non considerare ogni stagione della vita l’ultima?
Solo così lo studio continuo può farci vedere dove siamo e quanto bisogno abbiamo di tenere costantemente in movimento la nostra mente. Indipendentemente dall’argomento oggetto dell’attività formativa, la curiosità a indagare ambiti fino a quel momento sconosciuti viene innescata dalla discussione sugli approcci tipici del nostro agire quotidiano.
La ricchezza dell’errore
Ogni errore racchiude una lezione da cui ricavare una o più opportunità. Vincere il pensiero negativo significa andare alla scoperta di un modo alternativo per affrontare in futuro, e con successo, la medesima situazione.
Thomas Alva Edison, dopo mesi di fallimenti consumati nella messa a punto di una lampadina a incandescenza che durasse ore, trovò in quei tentativi un insegnamento: “Non ho sbagliato diecimila volte, ma ho scoperto i diecimila modi in cui non avrebbe funzionato”.
La potenza della novità
La novità è intimamente legata alla sorpresa. Avendo entrambe un’origine biologica (alziamo le sopracciglia e spalanchiamo occhi e bocca), sono uno straordinario stimolo per le nostre valutazioni di carattere cognitivo. Se già i nostri antenati preistorici erano in grado di sorprendersi di fronte a una minaccia (la belva) o un’opportunità (il cibo), la catena evolutiva ci ha portato a elaborare questo stato d’animo anche in contesti decisamente più sicuri.
Solo cambiare modaliltà di trasporto per andare a lavorare, utilizzare un mezzo pubblico o la bicicletta anziché l’automobile, modifica radicalmente il nostro metro di valutazione su quelle situazioni che ritenevamo immutabili. È un “nuovo imparare” che ci sfida a trovare un’inedita libertà intellettuale anche nel lavoro che facciamo.
Quindici minuti (non quelli di Andy Whrhol)
Se dedichiamo anche solo quindici minuti al giorno a qualcosa che vogliamo imparare, dopo qualche settimana diventiamo più bravi del 99% delle persone che si applicano saltuariamente a quel tipo di abilità. La cosa straordinaria è che mentre progrediamo, iniziamo anche a chiederci come impostare il processo di apprendimento in maniera più efficace.
Per questa ragione, la formazione continua è quella cosa che mette in primo piano la motivazione. Così come in cucina non esistono ingredienti sbagliati, anche nelle organizzazioni aziendali a ciascuna persona va data l’opportunità di imparare a meravigliarsi del sapere che l’attende e come sia possibile ricombinarlo in una nuova “ricetta” fino a quel momento a lei sconosciuta.
Foto di Ron Lach