Siamo esseri razionali? Ci piace pensarlo, ma non lo siamo nemmeno un po’. Se ci auto-osserviamo mentre siamo al supermercato, in un negozio o davanti alla pagina del Black Friday di Amazon scopriamo i nostri lati emotivi, irrazionali, imprevedibili.
[bctt tweet=”In fondo, l’irrazionalità è la ragione dell’infinito.” username=”giowile”]
Insomma, facciamo acquisti guidati dalle emozioni e cerchiamo di giustificarci invocando la logica. Ne consegue che raramente compriamo il prodotto migliore, più facilmente ci accaparriamo la notorietà di una marca, i significati che esprime, lo stato d’animo che ci trasmette. In una parola, compriamo la fiducia.
Le scelte sono conversazioni
Il nuovo ci attrae, ma ci spaventa. L’unico modo per avvicinarlo è fare in modo che il dialogo diventi subito familiare. Anche un servizio estremamente specialistico come un hosting può apparire sexy se la narrazione non si limita solo al gergo tecnico. In fondo, coloro che eventualmente lo acquisteranno sono professionisti che sceglieranno in base al risparmio, al tempo e, ancora una volta, sulla scorta delle emozioni (“L’hosting che non ti rovina il pranzo di Natale…”).
La familiarità si conquista con le stesse parole che useremmo per spiegare a nostra nonna concetti come “dashboard”, “scalabilità”, “uptime”.
Capire il problema
Il cliente non ha bisogno di leggere le mille e mille funzionalità del nostro prodotto, vuole solo essere sicuro che noi abbiamo capito il suo problema. Ecco il punto, il cliente ci ha concesso il suo tempo perché vuole riconoscersi nello stress che descriviamo e, subito dopo, vuole trovare la speranza di una soluzione.
Non ci sentiamo forse sollevati quando in un forum troviamo qualcuno che racconta come ha risolto lo stesso problema informatico che ci assilla da giorni? In quel preciso istante si palesano le basi invariabili della simpatia, della fiducia, della stima.
Il nostro argomento preferito: noi stessi
Il punto non è quanto siano stupefacenti le caratteristiche del nostro prodotto, ma in quale maniera può migliorare la vita dell’eventuale acquirente. Se tutto il racconto è incentrato su di noi, si finisce per mettere nel titolo addirittura il nome del prodotto, quando invece è proprio lì che il cliente ha bisogno di riconoscere immediatamente la soluzione al suo bisogno.
[bctt tweet=”Costruiamo il mondo come un’estensione del nostro io.” username=”giowile”]
L’onestà paga
A essere onesti, anche la verità è un buon argomento. Distorcere la realtà dei fatti, specie ai tempi dell’istantaneità e dell’esposizione full time, fa perdere brillantezza a noi e al nostro prodotto. Molto meglio dichiarare le debolezze, i difetti e le imperfezioni per far apparire una merce più simpatica (più umana?) delle altre concorrenti.
“We try harder” è il riff con il quale la seconda società di autonoleggio al mondo, Avis, è andata all’attacco del numero uno del settore, Hertz. Il numero due ammette di essere tale, ma proprio per questo si sta facendo il mazzo per migliorare. A questo punto, come non fidarsi di Avis? Un capolavoro di sincerità e comunicazione.
L’affidabilità ci convince
Non compriamo (o forse sì?) il telefonino che ci propone lo sconosciuto sullo spiazzale dell’autogrill perché non ne conosciamo la provenienza e, soprattutto, ci manca un elemento fondamentale, estraneo all’oggetto in sé. Di nuovo lei, la fiducia.
In particolare, abbiamo ben salda nella nostra mente la lezione che questi “affari” sono sempre delle fregature.
È questa la cosiddetta prova sociale, ovvero una parte integrante dei nostri meccanismi di decisione. Quante volte abbiamo acquistato un prodotto non per effetto di una nostra reale necessità, ma perché tutti l’avevano già scelto? E, al contrario, non ci siamo forse tirati indietro perché qualcuno di cui ci fidiamo (gli influencer sono sempre esistiti) ci ha consigliato in questo senso?