Pur mettendocela tutta, è impossibile piacere a tutti. A meno di non essere completamente sconnessi da qualsiasi attività sociale, ogni nostro comportamento attrae, respinge o viene del tutto ignorato.
È questa la ragione per cui, più o meno consapevolmente, mettiamo in atto delle strategie che pensiamo possano piacere agli altri, lasciando nel cassetto la nostra autenticità. In un certo senso, prende il sopravvento una specie di meta-comportamento che cominciamo ad adottare fin da piccoli.
A chi non è mai capitato, negli anni dell’infanzia, di reprimere una modalità sincera e genuina per paura di venire presi in giro (oggi, diremmo “bullizzati”)? Così impariamo a simulare un “altro noi” al solo scopo di piacere agli altri.
Una specie di camaleonti
In sostanza, diventiamo degli Zelig sempre pronti ad adattarci a qualsiasi situazione. Soprattutto quando è in ballo la nostra carriera professionale, la stratificazione di relazioni compiacenti la interpretiamo come un’abilità sociale strettamente necessaria.
Se da un lato può essere accolta la giustificazione che “dobbiamo campare”, dall’altro occorre essere molto cauti. Il pericolo è che la sovrascrittura dell’atteggiamento venga confusa con la realtà della nostra vera natura.
Magari, volevamo solo raggiungere quella determinata posizione lavorativa, non rovinare il pranzo con i parenti, evitare di compromettere la nostra presenza sui social, ma a conti fatti simuliamo perché abbiamo paura del giudizio.
Non vogliamo ammettere di essere vulnerabili e per questo barattiamo la nostra debolezza umana con un comodo e rassicurante “va tutto bene”, mentre invece non va bene niente. Una finzione che finisce per diventare l’unica cifra visibile del nostro carattere. Ma fino a quando?
È questo il momento giusto per fare la mossa del cavallo e prendere consapevolezza che esiste anche la possibilità del rifiuto, dell’incomprensione e, ovviamente, del giudizio. Ogni volta che facciamo un salto, non abbiamo quasi mai la certezza che tutto avvenga sotto il nostro controllo, tuttavia sappiamo anche quanto sia doloroso rimanere fermi dall’altra parte dell’ostacolo.
Come gran parte delle cose della vita, anche la vulnerabilità può riscaldarci o bruciarci. Dipende da quanto siamo disposti a dilatare la nostra zona di comfort e accettare la sfida del coraggio per affrontare tutte quelle scelte che, fino a quel momento, abbiamo soffocato.
A nessuno è dato sapere chi oltrepasserà la porta della nostra sincerità, ma di certo non potremo scoprirlo lasciandola chiusa.
Esecutori o esploratori?
La pianificazione ci permette di simulare a tavolino ciò che potrà poi concretizzarsi in un’opera vera e propria. È il lavoro dell’esecutore che ispira tutta la sua azione alla redazione di un piano per la costruzione di un determinato manufatto. Nel corso dell’esecuzione, per sopraggiunte necessità, potrà sicuramente prendere in considerazione degli scostamenti dal progetto, ma quest’ultimo rimane comunque la sua guida di riferimento.
Invece, l’esploratore non sa mai a cosa andrà incontro precisamente. Potrebbe essersi fatto un’idea su cosa incontrerà, ma quando la verità della scoperta si discosta dalle sue convinzioni, sono sempre queste ultime che vengono riviste e aggiornate.
Spetta a noi decidere se essere un esecutore, ovvero disegnare le linee dell’elaborato cognitivo in relazione alle richieste del committente, oppure trasformarci in un esploratore che accetta di scavare senza sapere cosa troverà.
Nel primo caso, adattiamo la nostra sensibilità alla volontà degli altri, tal volta fino a piegarla, nel secondo caso, all’opposto, mettiamo da parte la paura della scoperta (ancorché spiacevole) con la certezza di poter difendere o riconsiderare le nostre convinzioni.
La scrittura, con il suo potere di estroflettere il pensiero e liberarlo dalla sua prigione, può trasformarsi nel badile che ci serve per scavare.
Julia Cameron è l’inventrice delle Morning Pages. Un esercizio da fare tutte le mattine riempendo tre pagine di un quaderno con qualsiasi pensiero attraversi la mente. Il risultato non sarà paragonabile alla Divina Commedia, anzi la bruttezza la farà da padrona, ma ogni tanto sbucherà fuori una perla. Ecco, quella perla sarà l’indizio prezioso della nostra autenticità. Partiamo da qui per diventare più coraggiosi della paura di essere giudicati.
Foto di Natalie Parham