Oltre quarantamila studenti hanno lanciato una petizione online per chiedere l’abolizione delle prove scritte dall’esame di maturità 2022. Fin qui, “niente di nuovo sotto il sole” poiché, da quando ho memoria, la prova conclusiva del ciclo di studi secondari di secondo grado è sempre stata oggetto di “riforme” più o meno traballanti.
Sembra quasi che l’alternanza dei vari ministri dell’Istruzione abbia come marchio di fabbrica quello di voler “essere ricordati dalla storia”, lasciando la propria impronta su questo esame. Così, questo rito di passaggio verso l’età adulta, tutti gli anni fa parlare di sé al pari degli altri tormentoni come il cambio dall’ora solare a quella legale e viceversa, l’importanza di bere in estate e di coprirsi in inverno.
Non è mancato all’appello l’attuale reggente delle politiche scolastiche che, con serafico aplomb, ha chiosato: “Abolire la prova scritta dell’esame di maturità? È una legittima richiesta di un gruppo di persone con una situazione di sofferenza” (ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi). Amen.
Insomma, in particolar modo il “vecchio” tema d’italiano sembra destinato a passare a miglior vita. Peraltro, “legittimamente”, per citare ancora una volta le parole del ministro.
Pensare che la questione riguardi esclusivamente la scuola e a suoi meccanismi di valutazione, appare quanto meno favolistica.
Chi si occupa a vario titolo di formazione avrà senz’altro colto come, pezzo dopo pezzo, si sia sgretolata la funzione di supplenza della scuola. Infatti, non passa giorno dove tocchiamo con mano dinamiche sociali in cui l’analfabetismo funzionale viene eretto a strumento principe per sedurre gran masse di persone con astrusità di ogni genere.
Solo cinque anni fa, il linguista Tullio De Mauro ci metteva in guardia su come l’80% della popolazione italiana fosse sotto i limiti minimi di conoscenza e buona utilizzazione del testo scritto. Oggi, le “scritture” sulle varie piattaforme social non fanno certo percepire un miglioramento. Anzi.
In questo stato di cose, prima che qualcuno abbia l’ardire di bollare anche Socrate come un prodotto organico dei “poteri forti”, è bene riflettere su uno dei suoi più potenti precetti: “C’è un solo bene: il sapere. E un solo male: l’ignoranza”.
Perché è importante saper scrivere (possibilmente bene)
Come sappiamo, il linguaggio è la prima realtà del pensiero. Cioè, grazie alle parole possiamo condividere la nostra personale rappresentazione del mondo e, per effetto della retroazione continua, entrare in contatto con quella degli altri.
Va da sé che più parole conosciamo, più ricco e preciso sarà il “racconto” della nostra mente. Un “miracolo” che diamo per scontato (“Le parole ce le danno gratis”), ma che richiede un allenamento continuo.
C’è un filo rosso che unisce il linguaggio alla scrittura, si chiama organizzazione delle sequenze di comunicazione.
Nei miei corsi sulla realizzazione di presentazioni efficaci metto in primo piano il fatto che questa abilità non persegue il fine esclusivo di confezionare delle slide più o meno belle, ma quello della creazione di un lavoro che fa perno sugli elementi strutturali del discorso che si andrà a fare. Non a caso tutto inizia con la “sceneggiatura” della presentazione. Questo è un passaggio fondamentale che permette di chiarire, soprattutto a noi stessi, il modo più vantaggioso per disporre le idee nel flusso di comunicazione.
Una questione di consapevolezza
In sostanza, imparare a fare una buona presentazione significa migliorare le capacità di esposizione dei concetti che ci frullano in testa. Solo quando pensiamo come scrivere una cosa diventiamo più riflessivi e, al tempo stesso, aumentiamo il tasso di consapevolezza dei nostri comportamenti.
A maggior ragione, soprattutto in questi tempi incerti, abbiamo bisogno di meditare di più. La contemplazione del foglio bianco o della fluorescenza dello schermo, sui quali dobbiamo lasciare traccia dei nostri pensieri, è un atto di coscienza. Ovvero, la cognizione pratica di rappresentare agli altri degli schemi di pensiero che affollano la nostra coscienza.
La scrittura ci permette di ponderare i nostri ragionamenti, di valutarli compiutamente e di rifletterli in un orizzonte di relazioni. Lo stesso presidente della scuola di Harry Potter, Albus Silente, non ha dubbi al riguardo: “Le parole sono la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo”. Usare le parole nel modo migliore possibile implica un esercizio di ragionamento che solo la scrittura può offrire.
Allora, dopo le letture quotidiane di orde di a senza l’acca (quando svolge la funzione verbale) o con l’acca (quando invece è preposizione), di frasi senza soggetto e di espressioni linguistiche di poco superiori ai versi animali, solo avere l’ardire di proporre un dibattito sull’eliminazione della prova scritta dall’esame di maturità equivale a non fare più la doccia perché l’acqua ci bagna.
Foto di Nicolas Thomas