“Bevete Coca-Cola” è senza dubbio uno slogan molto efficace. Senza tanti fronzoli, dentro c’è tutto quello che serve per comunicare: il prodotto e l’invito all’azione.
Succede spesso che abbiamo ben presente il contesto pubblicitario, ma non ci ricordiamo assolutamente “cosa ci volevano vendere” (Un’automobile? Un robot da cucina? Un paio di scarpe?). Tutto sta nel fatto che noi (il target), bombardati continuamente dalle sollecitazioni più disparate, conserviamo solo una quantità limitata di informazioni.
Il punto è proprio la frequenza di esposizione al messaggio. C’è chi dice che siano sufficienti tre “passate” e chi invece sostiene la necessità di un numero ben superiore (15 e più) per garantirsi la comprensione e, soprattutto, l’azione del target.
Questi concetti, di vitale importanza negli ambienti dell’advertising dove, non dimentichiamolo, c’è sempre di mezzo il business (un messaggio “vende” o “non vende”), vanno tenuti in considerazione anche in tutti gli altri casi dove è comunque fondamentale agire nei termini della comunicazione efficace: un discorso pubblico, una relazione scritta, un colloquio di lavoro.
Siccome è ovvio che lo stesso messaggio ripetuto all’infinito è in grado di memorizzarlo anche un’ameba, la sfida è riuscire a far arrivare (e far memorizzare) la comunicazione nel minor tempo possibile. Come? Coca-Cola docet: chiarezza, credibilità, coerenza.
Chiarezza
Tutte le volte che diciamo (o scriviamo) una cosa senza tante complicazioni di contorno, otteniamo due effetti immediati: veniamo capiti e veniamo ricordati. Più divaghiamo e maggiore sarà la distrazione che inoculeremo nei nostri interlocutori.
Credibilità
Il nostro punto chiave (uno e solo uno per volta) sta in piedi solo se supportato da una prova tangibile, verificabile, sostenibile. Questa è la molla che spinge chi ascolta (o chi legge) a fare l’azione che ci aspettiamo.
Coerenza
Un messaggio diventa forte quando mantiene le sue caratteristiche in qualsiasi contesto e su ogni canale di comunicazione. È del tutto inutile, se non addirittura controproducente, avere un sito web che esalta lo zuccheroso clima aziendale e poi assistere alla presentazione dell’amministratore delegato che biasima i suoi collaboratori.
In sostanza, per farsi ricordare sono indispensabili meno lustrini e più concretezza. Troppa informazione (che è l’esatto contrario della buona comunicazione) è molto difficile da digerire e crea solo confusione.
Senza metterci lì a reinventare la ruota ogni qualvolta dobbiamo trasferire un’informazione, può essere utile far riferimento a una sorta di checklist per tracciare l’impianto principale della comunicazione.
Una checklist per comunicare meglio
Fase uno
Identificare l’obiettivo (uno solo) che vogliamo raggiungere con la nostra comunicazione. Parlare per parlare (o scrivere per scrivere) è solo una perdita di tempo, per noi e per il nostro target.
Fase due
Dire (o scrivere) subito l’obiettivo della comunicazione e in quale modo si raggiunge. L’ideale è indicare immediatamente gli step necessari per arrivare al traguardo. In questo modo, il pubblico ha una mappa concettuale con la quale orientarsi.
Per esempio, uno schema valido in ogni situazione è quello che dà risposte a questi quesiti:
- Qual è la situazione attuale?
- Perché è necessario migliorare?
- Chi sono i protagonisti di questa sfida?
- Dove ci porterà questa decisione?
- Quando succederà tutto questo?
- Come avverrà?
Fase tre
Sostenere l’esposizione con dati, cifre ed esempi concreti rende ogni singolo messaggio credibile. I racconti e gli aneddoti, specie se verificabili (ad esempio, un fatto storico), conferiscono la necessaria dose di memorabilità che, in ultima battuta, concorre alla ritenzione dell’informazione.
Fase quattro
A nessuno passerebbe per la testa di esprimersi nella stessa maniera davanti a dei bambini delle scuole elementari o al cospetto di un pubblico di accademici esperti della nostra materia. Ecco allora che il medesimo messaggio, per ambire alla massima efficacia, va messo a fuoco in base a “cosa” e a “quanto” sanno coloro cui è diretto.
Questo è un aspetto molto spesso sottovalutato (se non completamente eluso) dai nostri atti comunicativi. Per renderci conto della sua importanza, proviamo questo semplice esperimento: scriviamo un’email (avente per oggetto qualsiasi argomento) e una volta completata immaginiamo che il destinatario sia nostra nonna. Nove volte su dieci la dovremo riscrivere.