Alfabetizzazione digitale, da quanto tempo ce lo ripetiamo? Ormai da troppo tempo: l’Italia ha un disperato bisogno di digitale. Un preoccupante divario, rispetto agli altri paesi europei, marcato dalla carenza di infrastrutture e da una vera e propria educazione alla rete. C’è di mezzo la competitività delle nostre imprese, ma anche l’inappropriata preparazione che il sistema scolastico impartisce alla futura classe dirigente di questo paese.
Le sfide dell’alfabetizzazione digitale
I ritardi sul piano della riduzione del digital divide (e dell’ignoranza digitale) hanno determinato nei fatti una situazione per molti versi kafkiana. Da un lato, intere fasce di popolazione escluse dalla rete o che vi accedono con velocità (!?) da lumaca, dall’altro la nascita dei primi reparti ospedalieri per il trattamento delle cosiddette patologie da “Internet Addiction Disorder”.
[bctt tweet=”Errare è umano, dare la colpa al computer lo è ancora di più. (Robert Orben)”]
Insomma, l’alfabetizzazione digitale (termine sul quale sarebbe opportuno fare maggiore chiarezza) si trova a combattere contemporaneamente su due fronti: quello dello sviluppo (sacrosanto) e quello dell’educazione (indispensabile).
Tuttavia, che il problema non fosse tecnico o, perlomeno, non esclusivamente tecnico, ce ne eravamo accorti da un pezzo. Di fronte al dilagare delle alterazioni dei comportamenti sociali riconducibili all’utilizzo compulsivo di internet (irritabilità, aggressività, nervosismo, disturbi del sonno, stati psichici borderline, etc.) è plausibile parlare solo di cavi, reti e fibra? Non credo proprio.
Una rete di persone
Partiamo da un presupposto: non tutti sono digitalmente alfabetizzati alla stessa maniera, anche fra i molti che sono in rete fin dalla prima ora. In un contesto in cui il mezzo digitale offre infiniti motivi di onnipotenza, data la frantumazione dei punti di riferimento classici come, ad esempio, l’età, il territorio, il qui ed ora, bisogna cominciare a pensare più alle persone che alla rete.
[bctt tweet=”L’uomo è ancora il più straordinario dei computer. (John Fitzgerald Kennedy)”]
Non intendo una sorta di filantropia fine a sé stessa, semplicemente credo che non serva a un granché insegnare come si fa il copia-e-incolla o la maniera di collegare un router (questa è alfabetizzazione digitale?) se prima non si riesce a stimolare la passione per la curiosità.
Comunicazione e condivisione del sapere
Digitalizzare un paese, o anche solo una città, non si traduce nella possibilità di poter vendere più smartphone. Significa insegnare (il termine è quello giusto) a comunicare meglio e consapevolmente, mettendo al centro la condivisione delle conoscenze (gli open data per le amministrazioni pubbliche, il sapere collaborativo per i cittadini). Non bisogna inventare niente di nuovo, da secoli le biblioteche pubbliche continuano a indicare la strada da percorrere.
Quelli che sono già dentro la rete e tutti gli altri che vi entreranno (connessioni permettendo) hanno di fronte nuove possibilità, non un’altra realtà. Solo in questo modo è possibile mettersi davanti a un computer senza perdere di vista (o addirittura escludere) parti importanti della vita di tutti i giorni. Ce la faremo a far nascere l’alfabetizzazione sociale?