Oggi mi concedo un titolo da far invidia a Forbes, ma resto umile. A parte il velato delirio di onnipotenza, mi sono sempre chiesto cosa significhi essere benestante, ovvero lo star bene in maniera continuativa.
Un interrogativo che ne chiama in causa altri, dal concetto di ricchezza fino a quello di “filosofia della vita”. Tutta “robetta” sulla quale nei secoli si sono espresse le più brillanti menti del pianeta.
Tolgo subito di mezzo un equivoco, le considerazioni che seguono non hanno niente da spartire con le tonnellate di tutorial sui “trucchi vincenti del trading online”, “come diventare milionari a vent’anni”, “gioca in borsa e goditi la vita ai Caraibi”. Piuttosto, l’approccio è quello della ricerca di un equilibrio individuale che renda tutte le esperienze (comprese quelle negative) momenti di crescita.
Pensare
Quando è stata l’ultima volta che ti sei preso un po’ di tempo per riflettere sulle cose che sai? Forse molto tempo fa o, addirittura, mai. Il fatto di considerare la meditazione un tempo inesistente, ci ha fatto perdere il piacere di smontare e ricostruire intellettualmente tutte le cose, anche quelle (apparentemente) ovvie.
Il concetto di “immagazzinare delle nozioni” non è un’esclusiva della conoscenza, intesa nella sua accezione di “apprendere dall’esterno”, ma si nutre di connessioni che rendono dinamica la (semplice) memorizzazione dei contenuti. Applicare le conoscenze è cosa ben diversa dall’acquisire le conoscenze, e lo spartiacque è solo l’auto-riflessione. A cosa serve avere una libreria immensa (le informazioni) se poi non hai mai aperto un libro (le connessioni)?
Imparare
Se sai fare solo una cosa, è del tutto inevitabile che poi alla prima turbolenza precipiti nella disperazione.
Mio nonno mi ripeteva spesso che sapevo fare un sacco di cose, ma nessuna bene. Insomma, mi vedeva come una sorta di “specialista generico”. Nonostante questo, ancora oggi, è più forte di me: non riesco a resistere alla curiosità di “sapere” qualcosa anche di faccende lontanissime dai miei interessi e ambiti professionali.
Quando arriva un fallimento (perché, grande o piccolo, prima o poi si manifesta), disporre del maggior numero di utensili nella propria cassetta (intellettuale) degli attrezzi, è l’unico modo che consente di trovare soluzioni creative per venirne fuori.
Il risultato finale è la crescita personale, perché lo star bene è un effetto collaterale della curiosità.
Fare
Dopo aver pensato è necessario agire. Anzi, un’adeguata riflessione è la porta d’ingresso dell’azione. E non esiste azione senza la relativa dimensione temporale.
Definire un tempo entro il quale portare a termine un determinato compito consente di valutare adeguatamente i risultati. Per esempio, concludere con successo gli studi universitari dipende in larga parte dalla capacità di darsi delle scadenze e rispettarle.
Senza pianificazione non si ottiene nulla. Quindi, se vuoi stare bene impara a fissare degli obiettivi giornalieri, settimanali, mensili.
Per quanto mi riguarda, dalle 5 di mattina (vado a letto presto) alle 9 faccio cose che non sono direttamente collegate al mio lavoro: vado a correre, leggo, scrivo. Poi, la prima parte della giornata la dedico ai compiti urgenti, per finire con quelli che reputo importanti, ma non prioritari.
Ovviamente, nulla è scritto sul marmo. Ogni sera rivedo gli obiettivi del giorno dopo e li rimodulo in conseguenza di sopraggiunte necessità. Tuttavia, perché il meccanismo funzioni occorre annotare tutto e con il massimo di specificità. Un impegno generico non è un impegno, e non è nemmeno un obiettivo.
Adattare
“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento” (Charles Darwin). Un adagio che andava bene milioni d’anni fa e che funziona a maggior ragione oggi, quando la velocità del cambiamento tende all’istantaneità.
Tutti studiamo per fare un lavoro che c’azzecchi con le nostre conoscenze, ma molto spesso ciò non succede. Dramma? Disperazione? Frustrazione? Niente di tutto questo, la chiave per essere felici si chiama adattamento. L’alternativa è accontentarsi di condurre una vita incolore e, per l’appunto, infelice.
Qual è l’indicatore della propensione all’adattamento? Fare e farsi continuamente delle domande, in maniera tale che ogni giorno superino di gran lunga le risposte.
Bene stare
La felicità appartiene a chi è curioso di conoscere tutte le cose ed è in grado di ricombinarle in maniera creativa. In un certo senso, si tratta di una posizione in controtendenza rispetto alla specializzazione (sempre più spinta) richiesta dai tempi che viviamo.
Evidentemente, non mi metto a fare l’eretico rispetto alla conoscenza totale di una cosa soltanto, ma mi chiedo anche come si faccia a conosce davvero una cosa senza essersi posti almeno un paio di domande su gran parte delle altre cose.
Ecco perché il bilancio della mia giornata non si conclude mai senza aver imparato almeno una cosa che il giorno prima non sapevo (una parola, una tecnica, una strada). Questo “modo di fare” mi ha reso nel tempo più motivato, più adattabile, più felice. Praticamente, un benestante.