Sul rapporto fra adolescenti e social media non passa giorno in cui l’immancabile ultimissima ricerca (universitaria e no) ci travolge con una valanga di numeri con tanto di conclusioni ufficiali. Niente di sbagliato o di esagerato, ma fino a oggi mancava il punto di vista dei protagonisti.
Ha sopperito a questa carenza Andrew Watts, uno studente americano di 19 anni. La novità della sua indagine sta nel fatto che gli scenari prefigurati non si basano su tabelle e calcoli più o meno complicati, per esprimere il giudizio gli è bastato “annusare” l’aria che si respira fra i suoi coetanei. Ne è scaturito un quadro piuttosto verosimile e, mi permetto di aggiungere, in più punti sovrapponibile alle dinamiche nostrane.
Facebook. “Per noi è morto,” – esordisce lo studente-ricercatore – “ma ci dobbiamo stare, come si sta a una cena noiosa con tutti i parenti”. In sostanza, non si può fare a meno di Facebook, tuttavia non rappresenta più il luogo dove farsi una vita online a tempo pieno. Piuttosto, è l’approdo fugace dove cercare nuovi amici o consultare velocemente i connotati di qualcuno incontrato a una festa.
In altri termini, era giunta alla stessa conclusione anche la sociologa Danah Boyd:
L’era di Facebook è un’anomalia, mostratemi un’altra fase della storia in cui tutti frequentano lo stesso spazio sociale. La frammentazione è uno stato molto più naturale. Le vostre dinamiche sociali sono governate dai vostri interessi oppure dalle vostre amicizie?
Invece, come sensazione del tutto personale, mi pare che dalle nostre parti sia “meno sentito” l’utilizzo dei gruppi in quanto modalità alternativa alla sezione Notizie, cosa che invece oltre oceano (a detta di Watts) viene molto sfruttata.
Instagram. È di gran lunga il social media più utilizzato dai teenagers. Nell’analisi dello studente americano emerge che la ragione del successo si debba principalmente ricercare in qualcosa che assomiglia molto alla riservatezza. Infatti, di Instagram vengono soprattutto apprezzati tutti quegli aspetti che circoscrivono la portata delle azioni dell’utente, vale a dire che il “mi piace” e i commenti rimangono delimitati al post in questione. Al di là di questo, non vanno però trascurati gli aspetti qualitativi della piattaforma: le immagini pubblicate sono mediamente più “ragionate” rispetto a quelle spiattellate su Facebook, c’è un flusso di pubblicazione modesto e per questo consultabile anche a distanza di giorni, i link non funzionano (ancora) e questo tiene lontana l’invasione della pubblicità.
Twitter. “È un incidente di percorso. Ci capitiamo più o meno per caso e non lo capiamo”. Secondo Andrew Watts su Twitter ci sono tre categorie di adolescenti: quelli che si lamentano, quelli che sperano passi di lì un datore di lavoro, quelli che leggono qualcosa e, se del caso, retwittano. Pare di capire che l’unica leva di interesse riguardi il fatto che i genitori stanno generalmente alla larga dall’uccellino.
Snapchat
Snapchat. Sta diventando rapidamente la rete social più utilizzata da giovanissimi. Il motivo? Su Snapchat si può essere veramente sé stessi, senza bisogno di preoccuparsi dei “mi piace” e dei commenti altrui. “It’s the real you”, chiosa Andrew Watts.
Tumblr
Tumblr. “È come una società segreta di cui tutti fanno parte, ma nessuno ne parla”. Tumblr è una “judgment-free zone” dove effettivamente si può essere ciò che si vuole essere. Un aspetto da non sottovalutare riguarda la facilità con cui si può cambiare l’URL “se qualcuno ti trova”, sempre in ottica “fuga dal genitore curiosone”. Non è esattamente un luogo di “socializzazione”, almeno come lo intendono gli altri social media, piuttosto è una piazza virtuale dove condividere interessi simili.
Yik Yak
Yik Yak. Due elementi di forza: l’instant messaging anonimo e la geolocalizzazione. Per lo studente americano questa app social ha qualche motivo di interesse solo per i contatti all’interno del college o, comunque, entro una copertura geografica molto ristretta (Yik Yak include solo le relazioni che avvengono nel raggio di 10 miglia).
Medium
Medium. Andrew Watts è convinto che molti suoi coetanei desiderosi di “farsi qualcosa di proprio” cominceranno proprio da qui. Medium, per dirla con lo studente americano, è qualcosa di più di un blog. Anzi, funzioni come Consiglia e Segui lo trasformano in una vera e propria community e, in ogni caso, è molto più friendly di piattaforme come WordPress.
Il resto del mondo
Il resto del mondo per Andrew Watts comprende: LinkedIn (“Dovevamo averlo”), Pinterest (“Adatto a un pubblico femminile e agli hipster”), WhatsApp (“Utile soprattutto se studi all’estero, ma poi torni su Facebook Messenger”, da noi pare invece che gli adolescenti siano molto più affezionati alla doppia spunta rispetto ai pari età americani), YouTube (“C’è tutto, dalle cose divertenti a quelle utili. Se ti piace internet non lo puoi ignorare”), Ello (“Grande interesse iniziale, ma poi ho capito che lì non c’era niente di interessante per me”, non ricorda Diaspora?), Reddit e Vine (“Più per consumare contenuti, che per produrli”).
Google Plus
Google Plus merita un discorso a parte. “Non conosco nessuno dei miei coetanei che lo usa attivamente, è difficile e faticoso categorizzare ogni persona nelle diverse cerchie”. È una dissertazione che dovrebbe fare riflettere i progettisti di BigG e a questo scopo Andrew Watts azzarda anche qualche suggerimento del tutto pertinente: “Sarebbe fantastico vedere Google integrare Drive, chattare attraverso gli Hangouts, relazionarsi con le varie communties in modo che i team vedano in Google Plus uno strumento all-in-one che possono utilizzare per collaborare”. “I am hopeful for the future of the network”, è l’auspicio conclusivo.