Sono ritornato alla mie mansioni quotidiane dopo un breve periodo di “stacco”, come dicono quei “professionisti” che aborrono sempre e comunque il termine “vacanze”, quasi fosse un peccato capitale.
Per una qualche ragione – non meglio specificata – mi sono subito reso conto che il mio rientro era rimasto impigliato in una sorta di messa a fuoco imperfetta. Nel senso che il sovraccarico di lavoro accumulato, mi impediva di riprendere i ritmi consueti delle mie occupazioni giornaliere. Almeno così pensavo.
Poi mi sono ricordato che in aeroporto, col notebook sulle gambe, ero riuscito addirittura a sbrigare una serie di urgenze, alcune anche complesse. Allora perché una volta a casa non ce la facevo più a raccapezzarmi?
Evidentemente, lo sblocco era contenuto nella risposta a questa domanda. Per quanto incasinato, il terminal aeroportuale, un non-luogo per eccellenza, non aveva tutte quelle distrazioni che invece avevo ritrovato nel mio studio. Cioè, per meglio dire, erano diventate tali dal momento che non le avevo avute sotto gli occhi per un po’ di tempo.
L’ordine disallineato
Lo voglio dire subito, e chi mi conosce lo sa: la mia scrivania è relativamente ordinata o, in un senso più aderente, non lascia intravvedere la confusione come testimonianza (a volte solo quella) della frenesia lavorativa.
Pertanto, dovevo recuperare quello spazio dentro la mia mente. Una sincronizzazione che, evidentemente, era andata perduta una volta spezzata la routine a cui ero abituato.
L’ambiente che ci circonda influisce sui nostri stati emotivi. Se non fosse così, non riempiremmo le nostre stanze di quadri, arredi, suppellettili. Ecco allora che, dopo un periodo di assenza, torniamo a rivederli con gli occhi di un estraneo: “Perché quella cartellina è nella libreria?”, “Cosa ci fa il cubo di Rubik vicino al router?”, “Quando ho deciso che il temperamatite dovesse stare vicino alla lampada da tavolo?”.
Così ho capito che potevo ripartire (con i miei lavori) solo dopo avere allineato di nuovo la mia mente con la mia stanza.
La riprogrammazione
Mi ricordo che fin dai tempi dell’università, il massimo dello sforzo lo concentravo nell’inquadrare i vari aspetti dell’esame. Una volta che avevo capito la struttura, tutto mi sembrava più semplice, veloce e logico.
Allo stesso modo, un po’ per avere più chiaro il flusso dei lavori e un po’ per abitudine, da sempre pianifico (con tempi e priorità) i vari impegni settimanali. Evidentemente, prima di ogni altra cosa andava ristabilita la familiare to do list.
La frenesia di rimettermi subito in pari con gli impegni stava rischiando di mandarmi fuori giri. Solo una pianificazione ragionata ci preserva dall’essere trascinati in tutte le direzioni, con l’aggravante di lasciare quasi tutto incompiuto.
Ritrovare la voglia di fare
Per quanto io possa ritenermi una persona rigidamente disciplinata, mi ero accorto che il mio corpo era rientrato al lavoro, mentre la mia testa era rimasta in vacanza (ma sì, chiamiamola con il suo vero nome!). Una specie di jet lag della svogliatezza.
E così, con una naturalezza che non mi appartiene, mi stavo lasciando scivolare lungo il piano inclinato della procrastinazione. Sia ben chiaro, lo reputo un fatto normale, almeno fino a quando “lo farò domani” non diventa un mantra che manda tutto in cortocircuito.
Appena avverto che la situazione rischia di sfuggirmi di mano, corro ai ripari. Come? Con un approccio che io chiamo del “primo piccolissimo passo”.
Quando ci passa la voglia di fare qualsiasi cosa, compresi gli impegni professionali? Quando davanti a noi ci troviamo una montagna e pensiamo immediatamente e solo a tutto il tempo che dovremo impiegare per scalarla. Con il risultato che desistiamo o rimandiamo.
“Ogni lungo viaggio inizia con un primo passo”. L’adagio di Lao Tzu, il fondatore del Taoismo e uno dei più importanti filosofi cinesi del VI secolo a.C., coglie perfettamente il senso del mio metodo.
In sintesi, ogni occupazione può essere ridotta nelle sue unità elementari. E qual è il “primo piccolissimo passo” che dà inizio a tutto?
“Devo fare una presentazione” diventa “Prendo il block notes e la matita”.
“Devo leggere un manuale specialistico” diventa “Prendo il libro e leggo una pagina”.
“Devo andare a correre” diventa “Tiro fuori la tuta e le scarpe”.
Quanto tempo sarà necessario per svolgere quelle – e altre – funzioni una volta convertite nella loro nuova definizione? Trenta secondi, un minuto, due minuti? E il vantaggio?
Semplice, una volta preso l’abbrivio diventa molto (ma molto) più facile continuare. Pensare di fare una corsa di 10 chilometri è difficile, infilarsi le scarpe da running è molto più semplice. Ma una volta che le abbiamo nei piedi ecco che scatta la molla che ci fa partire.
Invece di “vedere il tutto” che ci paralizza, agiamo come se la cosa più importante fosse quel “momento primo” (una specie di rituale) che, alla fine dei conti, è davvero alla portata di tutti. Anche chi corre la maratona inizia con l’allacciarsi le scarpe.