Non c’è più l’attenzione di una volta. In particolar modo, ce ne accorgiamo durante gli slideshow aziendali dove sempre più il fedele smartphone “salva” il pubblico da litanie interminabili che, detto fra noi, sono spesso anche del tutto inutili.
Per esperienza personale posso dire che durante le presentazioni la “tenuta” massima della concentrazione non va mai al di là degli 8-12 minuti, praticamente il tempo che intercorre fra una notifica social e l’altra. Segue poi un periodo piuttosto lungo per far ritornare il pubblico “sul pezzo”, ma quando sembra che ce l’abbiamo fatta ecco lampeggiare un’altra lucina e via daccapo.
Allora, tutta colpa dei social o, più in generale, di quel “demonio” del telefonino? Alcuni miei colleghi la pensano proprio così, tanto che durante le loro performance vietano (leggasi “fanno spegnere”) l’infernale aggeggio.
Per quanto mi riguarda, non credo sia la strada giusta. I tempi cambiano e di conseguenza ci adattiamo, come del resto abbiamo sempre fatto nel corso dei millenni. Aumentano le informazioni e noi non facciamo altro che “digerirle”, con l’effetto di diventare sempre più avidi.
Rifletti. Fin quando una cosa ti interessa le dedichi il massimo dell’attenzione, isolandoti completamente dall’ambiente circostante. Non è forse stato così anche per l’automobile? Senza andare ai giorni della sua invenzione, basta che ti ricordi delle prime volte che guidavi: l’automobile in sé era il tuo intrattenimento esclusivo e nulla poteva distrarti.
Poi, il cervello non ci ha messo molto a stufarsi anche di quell’elettrizzante esperienza e ora “guidare la macchina” è diventata per molti un’attività noiosa. Così l’abitacolo si è man mano riempito di altre tecnologie: radio, schermi, connettività.
Se questo è lo scenario, appare scontato che chi fa il mestiere del coaching debba per forza avere qualche colpo in canna per arrivare soddisfatto (e incolume) alla fine delle tre o quattro ore che sono la durata standard di una sessione di formazione.
Dando per scontato (voglio crederci) che siano ad appannaggio di tutti le tecniche di base, cioè quelle che hanno a che fare con il contatto visivo permanente con il pubblico (quindi, guai a voltarsi per leggere le slide), per mantenere alta l’attenzione serve anche altro. È cioè fondamentale trasmettere più energia possibile.
Non conosco altre maniere per ispirare, incuriosire ed entusiasmare una platea che parte già con le peggiori intenzioni.
La chiave di volta è la tua consapevolezza
Qual è la battaglia che combatti? Per quale ragione fai quello che fai? Quanto sei convinto delle cose che racconti? Non si tratta di domande “accademiche”, ma di quello che si legge nei tuoi occhi.
Se sei tu la prima vittima della routine (fai quello che fai tanto per fare), come puoi pensare di coinvolgere delle persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono lì controvoglia? La passione che ci metti diventa il principale propellente della loro attenzione.
Inizia con una capriola
Così come impieghiamo una manciata di secondi per valutare se una persona ci va a genio oppure no, anche nelle presentazioni i primi istanti sono quelli decisivi.
“Con questo corso affronteremo diversi argomenti…”
“Il corso di oggi cambierà in maniera tangibile la vostra vita…”
Non è difficile capire quale dei due incipit abbia più probabilità di catturare l’attenzione. Ovviamente, la promessa (della premessa) va mantenuta.
La cosa principale è la cosa principale
In quattro ore si può parlare della storia del mondo, dai dinosauri ai giorni nostri, o raccontare la poesia che è racchiusa in una goccia di rugiada. La cosa importante è che alla fine di tutto resti ben impresso un significato. Uno solo.
Disegna con le parole
Con le parole puoi far ritornare chi non c’è più (alla stessa maniera di Roland Barthes con la fotografia), trasformare un suono significante in un’idea manifesta, far sentire il profumo dell’erba appena tagliata. I paesaggi di senso descritti dal linguaggio diventano “luoghi” nella mente del pubblico. E quando abitiamo vividamente un luogo, per quanto artificiale, tutti i sensi vengono chiamati in causa, non solo l’udito e la vista.
Falli parlare
Rimanere passivi per tutto il tempo di una sessione formativa è una tortura da non augurare a nessuno. In un corso non c’è il formatore e il suo pubblico, ma un un sistema dinamico che funziona solo quando la differenza fra i rispettivi ruoli diventa appena percettibile, se non addirittura inesistente.
L’attenzione è fatta di opinioni, di domande, di coinvolgimento emotivo.
Concludi con una ricompensa
Le persone si sentono appagate quando imparano a concretizzare una cosa che fino a quel momento non erano in grado di fare. Niente di trascendentale, solo piccoli segreti che si possono mettere in pratica subito.
Può essere una modalità operativa per gestire le relazioni in maniera efficace o, più semplicemente, come aggiungere parole ad alto rendimento nel proprio curriculum vitae.
La cartina al tornasole del successo del formatore è quando alla fine del corso le persone del pubblico esclamano “questa tecnica che non conoscevo ha pagato il biglietto”.
I consigli mi saranno utili, effettivamente capita anche a me di distrarmi durante una presentazione perché oggigiorno si è persa la capacità di rimanere attenti per lungo tempo. Per lavoro dovrò preparare diverse presentazioni sui nostri prodotti sia come aggiornamento, che come trainings che come pitch (vendita) sicuramente dovrò essere accattivante, le mie parole dovranno rimanere impresse e dovrò suscitare curiosità.