La capacità di “parlare bene” è il risultato di una tecnica che si apprende con lo studio e la pratica, tanta pratica. Perché puoi leggere tutti i manuali di nuoto del mondo, ma prima o poi ti devi buttare in acqua.
Questi giorni di campagna elettorale rappresentano un ottimo spunto per analizzare le abilità comunicative (ahimè, sbagliate) di una miriade di candidati-relatori. Il punto di caduta è quasi sempre l’importanza assegnata al cosa si dice a discapito del come lo si dice.
Anche i futuri politici che affidano le loro chance persuasive al discorso scritto (sarà farina del loro sacco?) mostrano evidenti incapacità nello strutturare argomenti che abbiano un minimo di appeal emotivo. Intellettualmente siamo disposti a digerire anche i sassi, ma non costringeteci a diventare dei veggenti per indovinare cosa ci volete dire.
I discorsi non sono strutturati
Un candidato che vuole convincere (con-vincere, vincere insieme) prima di tutto deve porsi il problema di creare empatia con il suo pubblico. Invece, succede che il “disco rotto” della litania programmatica venga ripetuto (virgola più, virgola meno) sempre identico, sia che il (forse) futuro amministratore si trovi al cospetto di studenti, industriali o commercianti.
Pianificare un discorso significa, come minimo, porsi un paio di domande: “A chi parlo?”, “Quali sono le aspettative o le preoccupazioni che hanno i miei interlocutori?”. Perché puoi anche avere in canna (anzi, la devi proprio avere) la proposta di realizzare la nuova Disneyland, ma se il mio problema sono le macchine parcheggiate sul marciapiede che mi impediscono di entrare in casa, da lì devi partire.
Lo schema logico del discorso per stupire
“Perché il pubblico dovrebbe ascoltarmi?”, è un quesito che pochi candidati si pongono, tutti presi dalla trance agonistica di promettere “mari e monti”. Pensiamoci, il nostro interesse ad ascoltare qualcuno è sempre direttamente proporzionale alla curiosità che ci suscita. No curiosità? No attenzione!
“Qual è il messaggio chiave?”, cioè mettere in evidenza quello che i marketer indicano con unique selling proposition? Senza una chiara “parola d’ordine” che definisca in maniera memorabile la proposta, tutto rimane vago e scarsamente interessante.
“Come funziona la proposta?” è ciò che dà concretezza all’idea programmatica attraverso esempi chiari e prove inconfutabili.
“Cosa succede se…” rappresenta il meccanismo causa-effetto che va dal problema alla soluzione. Qui è condensata tutta la differenza che faranno le tue idee.
Le slide efficaci, queste sconosciute
Siamo esseri umani, non riusciamo a leggere e ascoltare nello stesso momento. Pretendere che io possa interpretare un muro di testo o decifrare la planimetria di un progetto, e nello stesso istante, capire cosa mi stai dicendo è solo una tua (caro relatore) pia illusione.
Le slide non sono obbligatorie e sono funzionali solo se aggiungono significato alla relazione del candidato. Quelle che funzionano sono costituite da un’immagine (ho scritto una immagine) e una frase semplice da leggere in una manciata di millisecondi. Quando le slide rubano la scena al relatore, tutto va a farsi benedire. Hai mai visto qualcuno che vota per PowerPoint?
La comunicazione non verbale
Squalificando fin dalla partenza i candidati-relatori che parlano da seduti (sarà perché le campagne elettorali stancano?), il campionario oscilla fra due estremi opposti: quelli che parlano stando impalati come scope e quelli che si muovono come saltimbanchi.
Va da sé come l’atteggiamento giusto si collochi nel mezzo. Muoversi troppo o troppo poco diminuisce la credibilità di chi parla, per questo i suoi gesti devono essere misurati e diventare parte integrante del discorso. Detto in altri termini, il corpo e, in particolare, le mani sono come una sorta di tela sulla quale “dipingere” le immagini che accompagnano le parole.
Prova a seguire il video di un bravo oratore (su YouTube ce sono a bizzeffe) abbassando del tutto il volume e ti renderai conto di comprendere, nonostante ciò, gran parte del senso dell’intervento. Ecco, quando parlo di creare immagini con le mani intendo esattamente questo.
Il tono della voce
Che ci sia o no il microfono, è fondamentale iniziare con un volume della voce piuttosto alto. Ciò perché la voce umana, con il trascorrere del tempo, tende naturalmente ad affievolirsi. Se cominci a parlare con un tono basso, finirai l’intervento recitando il rosario.
La stessa frase pronunciata con varie cadenze sonore assume significati diversi. È tutta qui l’importanza di accelerare, enfatizzare, abbassare il tono per conferire il giusto valore a ogni passaggio.
Il respiro porta la mente allo stato presente
Nessuno è grado di fare un buon discorso se è preda dell’ansia. Cos’è l’ansia? In sostanza, è uno stato di tensione che deriva da situazioni vissute nel passato (“l’ultima volta che sono salito su un palco ho fatto una figuraccia”) o nel futuro (“sono sicuro che tutto andrà male”). In poche parole, la tua mente non è concentrata sul presente.
Uno o più respiri profondi, oltre a ossigenare il cervello (che va sempre bene), sono terapeutici per trovare la giusta condizione che, a sua volta, è indispensabile per essere credibili. Voteresti qualcuno che non sa governare nemmeno i suoi stati d’animo?
Spunti interessanti . condivido pienamente
Grazie Franco!