Usciremo, sì usciremo. Ci guarderemo di nuovo in faccia, senza bisogno di accendere un display. Le attività umane riprenderanno il loro corso dentro una “nuova” normalità, ma questa tragedia mondiale ci ha già cambiati.
Non siamo più i consumatori, i lavoratori, i cittadini, gli esseri umani di prima. E quando proveremo a recuperare i vecchi schemi relazionali ci accorgeremo di avere accumulato un deficit emotivo. Così, saremo costretti a prendere in considerazione degli inediti ambiti sociali. Ad esempio, saremo più inclini a integrarci con persone che condividono con noi stili di vita votati alla massima precauzione o, sul versante opposto, con quelle che esprimono condotte più temerarie e spregiudicate.
È prevedibile anche l’insorgenza di una “terza via”, dove i singoli (è proprio il caso di definirli così) spingeranno al massimo il loro individualismo, bilanciata da una “quarta via” in cui prevarrà invece una maggiore attenzione (cura?) per i propri familiari e per i vicini di casa.
In pochi mesi, abbiamo impresso un’accelerazione di decenni ai comportamenti, ai pensieri, agli obiettivi di intere generazioni. Di certo, col tempo supereremo la dicotomia fra “esseri sociali” ed “esseri spaventati” dai nostri simili, ma il sistema e l’ambiente, per quanto resilienti, andranno a costituire un mondo molto diverso da quello che abbiamo lasciato fuori dalla porta all’inizio di quest’anno.
Insomma, quando ci toglieremo le mascherine (quelle vere, non le maschere sociali che continueremo invece a indossare) il rimodellamento dei nostri “usi e costumi” sarà inevitabile. Per dirne una, il “distanziamento sociale” (io continuo a preferire la definizione “distanza di sicurezza” che mi pare più appropriata) caratterizzerà per parecchio tempo le nostre vite, con tutti i relativi condizionamenti relazionali ed economici.
Dall’emergenza allo standard operativo
Tutto è cominciato con la rottura degli argini nel sistema sanitario. Da sempre in sofferenza, non c’è voluto molto perché il virus facesse saltare il banco dell’assistenza medica.
Ma, si sa, è nelle fasi di forte depressione che ci si ingegna. Ospedali messi in piedi dal nulla in pochi giorni, interi reparti riconvertiti nel giro di qualche ora e, soprattutto, nuovi protocolli operativi hanno fatto intravvedere ampi margini per l’innovazione.
La telemedicina non sarà più “il futuro” rilanciato periodicamente da “spettacolari” interventi chirurgici in remoto, ma questa necessità contingente la trasformerà in diagnostiche, in dispositivi indossabili, in imaging medicali a distanza.
Le città metteranno in atto sistemi di sorveglianza pandemica permanente. Faremo l’abitudine agli screening della temperatura individuale all’ingresso di quasi tutti i locali pubblici e privati. Almeno fino al prossimo prevedibile scandalo Cambridge Analytica in salsa farmacologica.
L’ibrido sta prendendo velocemente la sua forma
Siamo stati obbligati a “trasferire” in rete gran parte delle nostre attività. Nel breve periodo abbiamo già visto chi sono stati i vincitori, dalle piattaforme per il lavoro da remoto al cloud computing, passando attraverso i servizi di streaming e di e-commerce, letteralmente “esplosi”.
Se questo è il cangiante luccichio attuale, in lontananza si fanno sempre più intensi i bagliori emanati dai variegati servizi di consegna di generi alimentari a domicilio, con la conseguente trasformazione delle logistiche tradizionali.
Tuttavia, la paralisi economica ha anche consigliato il ridimensionamento dei budget pubblicitari che, a cominciare dai big spender (Coca-Cola in testa), determinerà (se non l’ha già fatto) ripercussioni rilevanti sulle agenzie di comunicazione, sulle società di produzione, sui media a tutti i livelli.
Quell’ibrido commerciale (negozio fisico e vetrina virtuale) verso cui eravamo diretti a passo di lumaca, ora si sta imponendo prepotentemente sulla scena. Si comprerà sempre più a colpi di click, ma proprio per questo i commessi in carne e ossa rappresenteranno il vero valore aggiunto.
In che senso? Pena la loro sparizione, diventeranno dei consulenti e non, come spesso succedeva prima, dei semplici “ripetitori” di informazioni e caratteristiche del prodotto che il potenziale consumatore conosceva a memoria per averle preventivamente già cercate in rete.
La nuova modalità del lavoro
I ridondanti “Io ti sento? Tu mi vedi? Va il microfono?” ci hanno fatto capire che nonostante parlassimo di telelavoro da anni, alla prima vera prova dei fatti ci è caduta addosso tutta la nostra “banda stretta”, altro che fibra superveloce.
Ma si può fare! Le tecnologie remote miglioreranno e faranno piazza pulita di meeting perditempo, di sale riunioni degne di una spa, di spazi aziendali superflui. Lavorare da casa sarà la modalità predefinita per tutta una serie di vantaggi, a cominciare dai risparmi tangibili, dal minor tasso d’inquinamento dovuto alla mobilità, dall’indiscutibile flessibilità.
La retribuzione su base oraria diventerà un rottame novecentesco, lasciando il passo a valutazioni basate sui risultati collettivi, sui processi modulari, sulla libera creatività.
Ovviamente, questa trasformazione non coinvolgerà nella stessa misura tutti gli ambiti professionali. Ad ogni modo, fedeli all’equazione “più high tech, più high touch”, il tocco umano tornerà a fare la differenza. L’inevitabile automazione di molte “linee analogiche” manderà in “pensione” (per usare una formula elegante) tutti quei lavori che si possono nominare con una parola sola (ragioniere, geometra, commercialista, etc.) perché i loro compiti “automatici” li farà una macchina.
Allora, come salvarsi? Arricchendo il proprio ambito di conoscenze. Per fare un esempio, il ragioniere acquisirà delle abilità più “sensibili” e meno “meccaniche” (intelligenza emotiva, psicologia del cambiamento, sociologia delle masse). Solo così potrà vincere la sfida col gestionale che “fa tutto lui”.
Dal gesso ai bit
È trascorso solo qualche mese da quando sorridevo vedendo negli istituti scolastici un locale con in bella vista l’insegna “Aula Internet”. A ripensarci oggi, sembra siano passati anni luce. Reduci da anacronistiche (lo erano anche ieri) circolari per il “divieto assoluto dello smartphone in orario scolastico”, con l’emergenza sanitaria gli studenti sono stati letteralmente “obbligati” a usare le infotecnologie per continuare a seguire le lezioni.
La scuola tutta polvere di gesso, Lim che non funzionano e laboratori informatici con il fiammante “Windows 95” sarà dura a morire, ma non c’è dubbio che il digitale sia stato sdoganato, questa volta raccogliendone tutte le opportunità e non solo i “terribili rischi”.
L’apprendimento farà così perno sull’integrazione della lezione fisica frontale con una miriade di estensioni che la rete mette a disposizione (non da oggi). Studenti e professori, l’aula capovolta è servita!
Verso una globalizzazione meno “porosa”
La rivoluzionaria visione glocal sembra essere uscita dai suoi schemi sostanzialmente teorici (fin qui). Le nazioni si chiudono in loro stesse, i confini diventano meno permeabili, si comincia a scommettere sulla capacità produttiva interna.
Le persone e le merci si sposteranno meno di adesso. Tutto questo era già nell’aria anche prima, ma alle guerre commerciali globali e alla conseguente necessità di superare la dipendenza, si è aggiunta la spinta epocale della tutela della salute.
In pratica, le catene produttive di approvvigionamento interno verranno preferite all’efficienza centralizzata globalizzata. Con tutto quello che comporterà, non ultimo il crollo verticale di ogni tipo di viaggio (d’affari o per piacere), delle reti di trasporto, del sistema ricettivo.
Ma dopo questa chiusura “a riccio” (che immagino durerà qualche anno), c’è da auspicare l’insorgenza di classi dirigenti illuminate in grado di riconoscere come le minacce epidemiche siano in tutto e per tutto “democratiche”, in quanto se ne fregano delle frontiere, del reddito, dello stato sociale.
Solo così la “liquidità” di Bauman potrà trasformarsi in una nuova pragmatica forma di cooperazione internazionale che prevederà piani “normali e unitari” di risposta nei casi di emergenza.
Quello che ancora non si vede
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”, osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930.
A modo loro, tutte le crisi si assomigliano. Se la storia ci ha insegnato qualcosa, per evitare di ripetere in maniera ancora più drammatica gli stessi errori, è indispensabile che dalle macerie nasca un’organizzazione sociale più buona, più equa, più giusta.
Sto scrivendo questi pensieri disordinati, mentre fuori c’è un sole caldo. Ma la percezione disorientante è quella delle mattine colme di neve, tanto è il silenzio che ha preso il posto del traffico.
E penso. Penso che è così in quasi tutto il mondo. Già, questo piccolissimo mondo dove all’improvviso è cambiata la nostra percezione del valore. Petrolio? Oro? Diamanti?
Ora, l’aria è l’unica cosa che conta. Torneremo a respirare.
Da noi la neve si scioglie anche “l’an de nevon” era acqua ticcia all’ inizio poi neve alta 2 mt ma poi si è tornati ad uscire. Ecco questo è quello che succederà ma ci ricorderemo di non sottovalutare l’acqua ticcia.