Email sì, email no. La posta elettronica viene decretata morta un giorno sì e l’altro pure, a dire il vero in compagnia di altri sistemi e tecniche (SEO, blog, Google Plus). La sua salute viene messa in discussione dall’istantaneità dei social media che fin da subito si sono posti come la vera killer application di tutte le comunicazioni digitali. Le cose stanno davvero così?
[bctt tweet=”Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. (Tim Berners-Lee)” username=”giowile”]
Quarantacinque anni, ma non li dimostra
La prima mail ha quarantacinque anni suonati, ma sta ancora al passo con i nuovi sistemi. Solo per citare qualche esempio, l’email è il tratto distintivo della nostra appartenenza a un’azienda, la stessa iscrizione a qualsiasi social media viene fatta attraverso il nostro indirizzo di posta elettronica che, nello stesso tempo, diventa fondamentale per modificare l’account o addirittura la password.
Stessa spiaggia, stesso mare
Si possono gestire più indirizzi email con un’unica interfaccia (es. l’importazione di altri account su Gmail) e non è richiesto un programma specifico per leggere e inviare messaggi di posta elettronica.
Non si può dire lo stesso per i social media. Anche se le (fastidiose) notifiche ci avvertono su cosa succede nei vari social, ogni piattaforma fa storia a sé. Ovvero, dobbiamo disporre di un account su quel particolare social media se vogliamo comunicare con coloro che ci contattano in quel luogo virtuale.
I social media sono sociali
Sul terreno della condivisione e della reperibilità delle informazioni non c’è partita. L’email perde in maniera schiacciante nei confronti delle piattaforme sociali. Dai bottoni di condivisione (presenti ovunque) alle indicizzazioni sui motori di ricerca, non è difficile scorgere la superiorità virale di Facebook, Twitter e di tutto il resto della compagnia.
E la newsletter?
Senza dubbio il vantaggio della comunicazione mediata dai social media si traduce nell’istantaneità e, al pari, nella possibilità di raggiungere un elevato numero di persone. Di contro, le timeline sono diventate così intasate da ritenere del tutto teorica l’eventualità che il messaggio possa venire letto da tutti i nostri target. Le articolate teorie sugli orari migliori di pubblicazione nascono proprio per arginare queste criticità.
Si spiega (anche) così la longevità delle newsletter. Al netto delle cancellazioni tout court, il messaggio recapitato nella casella di posta elettronica è, per così dire, persistente e non si perde nel mare magnum dei social feed.
Lo standard di professionalità
Non credo si possa considerare un retaggio del passato l’effetto più “professionale” che determina un indirizzo mail (preferibilmente agganciato al dominio) inserito in una proposta commerciale. Nelle comunicazioni marketing-oriented, l’indicazione della pagina Facebook o dell’account Twitter assicurano senz’altro un’immagine smart, ma sarebbero del tutto velleitarie se dissociate dall’indirizzo email.
Email come sinonimo di lavoro
In attesa di uno studio sociologico (e/o psicologico) sul fenomeno, i capiufficio sono più inclini a valutare favorevolmente la produttività dei loro sottoposti se questi sono intenti ad armeggiare con il programma di posta elettronica, invece che con la chat di Facebook. Tanto è vero che in molti luoghi di lavoro l’accesso ai social è inibito.
La verità sta nel mezzo
Sia che il “mezzo” lo si consideri un aggettivo o un sostantivo, email e social media non si escludono (almeno per ora) l’un l’altro. Del resto, appare evidente una forte complementarietà fra la necessità di mantenere relazioni professionali dirette e il bisogno di condividere le informazioni con platee più ampie.
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