Lo storytelling è un po’ come la scoperta dell’acqua calda. Da sempre raccontiamo storie e ci facciamo ammaliare da narrazioni che penetrano la nostra natura più intima. Pur tuttavia, da quando non ci accontentiamo più di ascoltare un oratore monotono che legge un compitino fatto da chissà chi, ma lo vogliamo sentire parlare al nostro cuore, dialogare con le nostre sensazioni e, soprattutto, raccontare una storia che si intrecci con la nostra, lo storytelling è diventato la pietra angolare di qualsiasi presentazione efficace.
Anche qui nessuna novità, gli archetipi sono i medesimi che fanno da sfondo a tutte le storie del mondo e di tutti i tempi: il contesto, il problema, la soluzione.
Il contesto
Nessuna presentazione va bene dappertutto. Mostrare attenzione per le persone che abbiamo di fronte, significa conoscere (e quindi aver analizzato a fondo) cosa fanno e perché sono lì. Ne consegue un adattamento dei nostri concetti a quel particolare contesto. Il resto è un sincero apprezzamento per i risultati raggiunti (nel caso di un’azienda) o un autentico complimentarsi per aver scelto di dedicare del tempo alle nostre “chiacchiere” (nel caso di presentazioni a platee eterogenee).
Il problema
Partiamo da un punto: ogni decisione prefigura uno scopo. Non fanno eccezione le presentazioni. Scegliere di seguire la relazione di un presentatore non è un’opzione neutra, ma indica la presenza di un problema. Andiamo a una conferenza sul clima perché siamo consapevoli che qualcosa di questo mondo non va, ci iscriviamo a un corso sulla SEO perché abbiamo bisogno che il nostro blog sia più visibile, partecipiamo a un convegno sulla poesia dialettale perché vogliamo recuperare le nostre radici. Allora, andando dritti al senso più autentico di tutte le storie, dopo il contesto “rose e fiori” ecco arrivare il “cattivo”, cioè il problema.
È a questo punto che va posta una delle domande retoriche più potenti di sempre: “Quindi, cosa possiamo fare?”.
La soluzione
La soluzione è il cavaliere che salva la principessa. Come in ogni favola che si rispetti, anche l’epilogo finale è il risultato progressivo di piccoli successi. Non si arriva subito da A a Z, ma si costruisce una trama in ordine crescente di difficoltà.
La cosa fondamentale è l’invito all’azione. Del resto, anche la principessa, se vuole essere salvata, deve essere motivata a farlo e ci deve mettere un po’ del suo.
È tutto molto semplice, o no? Purtroppo, no.
Nella grande maggioranza delle presentazioni (aziendali e no) manca la struttura della storia. O meglio, sono assenti i presupposti minimi del coinvolgimento emotivo: la tensione, il mistero, la suspence.
E pensare che noi esseri umani siamo invariabilmente piuttosto prevedibili. Stiamo in tensione sul divano mentre guardiamo giocare la nostra squadra del cuore, ci facciamo spaventare da film misteriosi, rimaniamo letteralmente incollati al cospetto di intrighi drammatici. Allora perché ci dimentichiamo di queste tecniche elementari quando facciamo una presentazione?
La procedura coinvolge molto meno dello storytelling
Qual è lo svolgimento classico della maggior parte delle presentazioni? Una slide con il titolo (spesso privo di qualsivoglia creatività), cui seguono un elenco puntato che anticipa gli argomenti (ovviamente letto dal presentatore con religioso trasporto) e una sequenza di “muri” di testo da far paura. In sostanza, il pubblico sa subito cosa aspettarsi dalle successive 50 slide (quando va bene!) e la storia finisce prima ancora di cominciare.
Uno dei discorsi più famosi della storia è senza dubbio quello pronunciato nel 1863 a Gattysburg dal presidente americano Abramo Lincoln.
Il contesto positivo
“Or sono sedici lustri e sette anni che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella Libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali (…)”.
La dichiarazione del problema
“Adesso noi siamo impegnati in una grande guerra civile, la quale proverà se quella nazione, o ogni altra nazione, così concepita e così votata, possa a lungo perdurare (…)”.
L’individuazione della soluzione
“(…) che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra”.
Ancora una volta lo schema è una specie di sandwich confezionato sotto forma di storytelling. Prima le certezze (le buone notizie), in mezzo il problema (le cattive notizie) e per finire la soluzione (il ritorno alla serenità).