“Mi lambivano suoni che coprirono rabbie e vendette di uomini con clave. Ma anche battaglie e massacri di uomini civili. L’uomo neozoico dell’era quaternaria”.
Che il Maestro avesse una visione del mondo troppo avanti per i suoi (e i nostri) tempi è un fatto largamente condiviso, ma è soprattutto in questi strani giorni che abbiamo ripreso a riflettere sul senso dei cosiddetti contratti sociali. Ovvero, i termini e le condizioni che regolano la convivenza civile delle comunità di individui, almeno di quelle che hanno riconosciuto e praticato il valore inalienabile dei diritti umani.
Queste norme hanno plasmato per decenni le nostre vite, le nostre aspettative, le nostre modalità di interazione con gli altri. Poi, è arrivata la pandemia e, con tutta l’incredulità del caso, ci siamo resi conto come le nostre certezze cominciassero a sgretolarsi sotto i colpi di due forze che, fino a quel momento, consideravamo “amiche”: il cambiamento e la segmentazione.
Fra mutazione e frammentazione
Sono così mutati i presupposti delle nostre interazioni con il mondo e, al tempo stesso, si è fatta strada un’idea frammentata di responsabilità civica. Dalla vitale necessità del bisogno di relazioni sociali (ricorderemo il lockdown soprattutto per l’impossibilità di abbracciarci) siamo passati alla dura contrapposizione (negazionismo compreso) verso la scienza che, a tempo di record, ha trovato invece la soluzione per ristabilire quel “prima” che tutti invocavamo.
Un “prima” che comunque, da qualsiasi punto di vista lo si voglia osservare, avrà sempre più i caratteri di una “nuova normalità”, modellata dall’incedere delle tecniche di ridefinizione dello spazio-tempo e, conseguentemente, dalle nuove dimensioni delle relazioni sociali.
Evidentemente, si tratta delle due facce della stessa medaglia, ma con all’interno un elemento di “novità”, ancorché ascrivibile storicamente ai movimenti di rottura identificabili con le sette.
La possibilità di mettere a punto un vaccino anti-Covid19 in tempi rapidi ha implicato una collaborazione fra le istituzioni governative e la “famigerata” Big Pharma, due “soggetti” che notoriamente non godono di fiducia incondizionata. Ed è proprio qui che, unendo artificiosamente i puntini, si insinua il pregiudizio cognitivo del complotto.
Chiamarsi fuori dal processo di logica, porta inevitabilmente a questo errore di congiunzione. La convinzione di saperne di più dello scienziato (“non ce lo dicono”) lascia campo aperto a “verità” che i “comuni mortali” (ecco la similitudine con il culto della setta) non possono comprendere.
Semplificando, la rottura consequenziale fa credere più verosimile la possibilità che domani possa succedere un incidente nella mia via, rispetto all’eventualità che si verifichi almeno un incidente in tutta la città. Un evento, quest’ultimo, assai più probabile del primo.
Va da sé che in questo cortocircuito nessun altro meccanismo di scoperta può essere credibile e, di fatto, creduto. Nonostante le fonti che avallano queste prese di posizioni, siano spesso inesistenti o improbabili e si portino dietro un’oscura rete di profitti basati, manco a dirlo, sul terrore e sull’ignoranza.
Vinta la paura, si invoca la paura
L’ironia della sorte risiede proprio nell’efficacia dei vaccini che ha consentito ai loro avversatori di esistere, togliendo di mezzo, per molte malattie, la paura di morire.
Come è già stato detto da molti, se ci fosse stato Facebook ai tempi della scoperta dei vaccini che hanno pressoché debellato la poliomielite, il vaiolo, il morbillo e molte altre malattie, ci saremmo praticamente estinti.
Un altro aspetto, al netto delle strumentalizzazioni che ne fanno alcune frange politiche, va ricondotto all’inedita alleanza fra gruppi di individui normalmente estranei gli uni agli altri. Oltre gli stereotipi “classici”, la battaglia “per la libertà” ha fatto incontrare istruiti e non istruiti, “pacificati” dal sospetto (sistematico, è il caso di dire) sul “sistema”.
Per queste categorie di persone, il fatto che i vaccini (tutti, nessuno escluso) garantiscano di gran lunga più vantaggi rispetto al rischio di infettarsi, resta di fatto la versione “ufficiale” dei poteri forti.
Per questa ragione, anche lo scienziato che ha dedicato tutta la sua vita alle ricerche in tale ambito, si trova in grande difficoltà a sostenere il suo sapere al cospetto della litania di “non è vero”, “servo del sistema”, “io sono il medico di me stesso”.
Allora, se anche la scienza viene messa alla berlina dal laureato all’università della vita, non resta che spostare il piano dialettico sulle questioni identitarie nelle quali si riconoscono coloro che si contrappongono al metodo scientifico.
Le radici sono sempre sotto la superficie del visibile
Quello che sentiamo e vediamo non sono altro che atteggiamenti di superficie che, anche per coloro che li pronunciano, non rivelano mai le vere radici sulle quali poggiano le loro “inconfutabili” prese di posizione.
È probabile allora che sotto la buccia dell’anti-scienza si nasconda, non tanto (o non solo) una convinzione legata alla propria salute, ma una vera e propria visione del mondo che, per interessi acquisiti e di presunta superiorità, fatica a riconoscere la responsabilità civica di ogni individuo all’interno della propria comunità.
Si ritorna così ai principi fondamentali della conoscenza. E quindi, più che mai alla necessità di un apparato educativo che insegni, fra altre cose, anche a riconoscere il terreno comune della convivenza, quel piano fragilissimo dove si incontrano i doveri individuali e i diritti collettivi.
Foto di Forest Simon