Siamo tutti prigionieri dei nostri modelli mentali. Appena ci soddisfa una spiegazione su come funziona qualcosa, ecco che il (nostro) mondo ci passa attraverso, diventando il perno fisso e immutabile della relazione fra tutte le cose.
Per esempio, il principio di Pareto è il prezzemolo che infiliamo in tutte le salse, spesso anche solo per il piacere di far vedere quanta ne sappiamo, così come la curva della domanda e dell’offerta o, ancora, il grado di disordine di un determinato sistema. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito (ecco un altro modello mentale!).
Ad ogni modo, più che l’assoluta precisione (la verità) dei vari modelli mentali, ci interessa la loro utilità. Ovvero, quella di farci propendere per le scelte migliori che, in molti casi, coincidono anche con le azioni più razionali ed efficaci.
Come conseguenza immediata ricaviamo che qualsiasi modello mentale, per quanto tendenzialmente imperfetto, ci ha comunque consentito di costruire opere faraoniche e di andare sulla Luna e oltre. Pertanto, la nostra attrazione per il sapere non tende alla verità assoluta e inconfutabile, ma alla sua utilità accettabile.
Houston abbiamo un problema (e nemmeno tanto piccolo)
Allora, qual è il problema? Se i modelli mentali funzionano, anche alla luce dei difetti teorici che si portano dentro, perché dovremmo preoccuparci? Se abbiamo sempre fatto così, perché arrovellarci per “sprecare” energie al solo scopo di cambiare?
La questione è proprio la nostra predisposizione a fare le cose sempre nello stesso modo. A lungo andare, sviluppiamo delle competenze precise basate su modelli mentali che diventano per noi estremamente familiari. E fino qui niente di male, se non fosse che con quelle idee finiamo poi per spiegare (e affrontare) anche questioni più generali, e lontane anni luce dai nostri ambiti di competenza.
In un certo senso, è la trappola della specializzazione che finisce per fornirci una “indiscriminata” spiegazione del mondo. Cioè, passiamo – senza accorgercene – dalla competenza al disconoscimento del suo stesso limite.
“Se tutto quello che hai è un martello, tutto sembra un chiodo”, impossibile trovare una sintesi migliore di quella suggerita da Arthur Bloch.
Prendiamo un fiore. Per un fotografo, la sua osservazione si focalizzerà sui colori, sulle luci, sulle forme. Ma se potessimo entrare nella mente di un botanico ecco che tutto cambierebbe, e la scena se la prenderebbero i sepali, gli stami e i pistilli, con tutto il concentrato evoluzionistico invisibile ai più.
Più ci specializziamo e più prende il sopravvento la prestazione essenziale che “vediamo” in ogni cosa. Ovviamente, né il fotografo e tanto meno il botanico hanno torto, ma nessuno dei due “vede” l’intera immagine. Per così dire, le loro prospettive contengono una certa cifra di verità, ma non tutta la verità.
La necessità di espandere i nostri modelli mentali
Non è difficile intuire come un set limitato di modelli mentali finisca per influire negativamente anche sulla ricerca delle possibili soluzioni. È la stessa differenza che passa fra disporre di un solo cacciavite e, di contro, il poter contare su un’intera cassetta degli attrezzi.
In un certo senso, più modelli mentali disponiamo e migliore sarà la nostra visione complessiva. Ci sono volte in cui avremmo bisogno di un binocolo, in altri contesti ci farebbe più comodo un microscopio per migliorare continuamente la messa a fuoco delle immagini che si presentano davanti a noi.
Quando i problemi ci fanno davvero paura? Quando avvertiamo la mancanza di un numero maggiore di prospettive. E queste ultime possono aumentare solo se leggiamo, se studiamo, se facciamo tesoro delle esperienze altrui.
Il primo ostacolo che incontriamo è quello di “liberarci” dei compartimenti stagni in cui vengono relegate le materie scolastiche. Nel mondo non succede mai che le informazioni siano così chiaramente suddivise in chimica, storia, filosofia…, ma tutto scorre su piani molto liquidi in cui non esiste il concetto di confine.
Ecco il punto: l’accumulo di modelli mentali ha senso solo se lascia spazio alle connessioni, ai collegamenti, all’ibridizzazione delle idee.
Pertanto, fatti salvi i fondamentali che ci permettono di comprendere il funzionamento del mondo, tutto il nostro impegno andrebbe orientato verso una sempre maggiore conoscenza dei fatti, delle cose, delle opinioni avverse.
L’assunto è che tutti i modelli mentali hanno un tasso variabile di errore, di conseguenza disponiamo unicamente di risposte parziali per contrastare la complessità che ci circonda. Ma sono le migliori che abbiamo.
Poiché la nostra esistenza è costellata di incertezze, non possiamo bloccarci in attesa di verificare l’assoluta veridicità di tutti gli elementi in gioco. Proprio per questo, maggiore è il numero dei modelli mentali di cui disponiamo e tanto più precisa (e rapida) si rivelerà la nostra decisione.