Vado subito al nocciolo della questione. Comincio da un non-trucco, ovvero da quello che piuttosto si prefigura come una necessità ineluttabile: per scrivere (bene) occorre leggere.
Un’ovvietà? Direi proprio di no, dato che nel paese di Dante il 58% della popolazione non legge nemmeno un libro all’anno (Istat, 2015). Di contro, tutti scrivono sui social… e i risultati si vedono.
Fatta questa (doverosa) premessa, va anche detto che il nostro mondo lo costruiamo con le parole, molte di queste elaborate in forma scritta. Lasciando sullo sfondo la comunicazione paraverbale e quella non-verbale, il pensiero che si fa linguaggio (in un libro, in un post, in un manifesto) trova nelle parole la sua realtà più immediata.
Secondo gli studi di Albert Mehrabian, peraltro spesso equivocati in riferimento all’ambito di rilevazione, nella comunicazione dei sentimenti (simpatia-antipatia) l’influenza del contenuto verbale si attesterebbe su un (misero) 7%.
Tuttavia, proprio perché le parole (e il loro portato cognitivo) “pesano” relativamente poco nelle relazioni faccia-a-faccia di natura sentimentale, nel loro utilizzo scritto dobbiamo fare in modo di rievocare efficaci stati emotivi, stante l’assenza di tutti gli altri componenti della comunicazione.
1. In principio c’è l’emozione
Codificare l’emozione e perché ci emozioniamo è un’impresa al limite del possibile e, con ogni probabilità, anche di scarsa utilità. È vero, ci sono episodi che ci “toccano”, ma non a tutti in egual misura e con la stessa intensità.
Ciò che conta è che tutti avvertiamo un “sentire” che condiziona le nostre scelte, il nostro comportamento, le nostre giornate. Spesso non ci facciamo caso solo perché vogliamo convincerci di agire razionalmente e secondo i presupposti della logica. Un esempio? Analizzate a fondo il meccanismo secondo il quale avete fatto un acquisto e vi accorgerete che più del “bisogno materiale” avete soddisfatto un’esigenza emotiva.
Nella scrittura tutto questo si traduce nel far risuonare la narrazione dello scrittore con i ricordi dei lettori. La sintesi è nei paesaggi di senso che istantaneamente affollano la mente di chi legge.
Aveva lasciato le scarpe sotto il letto, l’orologio sul comò e la camicia su quella specie di sedia che ormai fungeva solo da servo muto. La sera prima era rientrato tardi, incrociando solo alcuni addetti alla manutenzione delle strade.
Magari con sfumature diverse, la banalità di questa descrizione aggancia scenari individuali dove il lettore è “costretto” a pensare, a ricordare e, soprattutto, a sentire le sue reali traiettorie personali.
2. Nessuno si è mai lamentato di uno scritto troppo breve
L’attenzione è sempre più scarsa e il flusso delle parole sempre più impetuoso. La brevità dell’esposizione o, forse meglio, l’incisività delle parole ha maggiori probabilità di sintonizzarsi con il lettore.
Il giorno in cui successe tutto era iniziato come tutti gli altri, ma da quel momento gli anni non sarebbero più stati gli stessi.
In questo caso, si mettono nero su bianco pochissimi indizi. Il lettore riempie gli spazi vuoti a suo piacimento mettendoci dentro le sue esperienze e, perché no, le sue conclusioni.
3. Chiaro e tondo
La confusione, l’accavallarsi delle spiegazioni, la pesantezza dei significati uccidono qualsiasi stesura letteraria. A parte pochissimi argomenti estremamente specialistici, quando il lettore “viene costretto” a rileggere la frase è la fine, sua e nostra.
Scrivere con la voce attiva e facendo largo uso di transizioni immediatamente comprensibili (mentre, per effetto di, per esempio) aiuta i lettori a visualizzare meglio le parole e a trasformarle in immagini.
Era ancora buio quando ho sentito squillare la sveglia di quelli del piano di sopra. “Sono sveglio”, mi sono detto. Nel mentre, i rumori si facevano sempre più flebili e sordi, ma ormai avevo deciso. “Prendo il treno delle 6:47”, e così ho fatto.
Arrivare al punto. Subito.
4. La verità è sempre bella, anche quando è brutta
Ammettere i propri limiti, se non addirittura i propri errori, ispira simpatia. In tempi dove tutti dicono tutto di tutti e le discussioni finiscono per prendere più di mira le persone che le idee, l’onestà (dato l’uso improprio che se ne fa, mi sembra esagerato aggiungere anche “intellettuale”) di mostrarsi nudi, esposti, sensibili è un ottimo presupposto emotivo.
Se solo avessi messo da parte il mio orgoglio, oggi non starei qui a contare le nuvole. Ho sbagliato, ho ricominciato, ho sbagliato di nuovo. Sono un essere vulnerabile, ma non sono mai stato pericoloso.
Difficile non provare tenerezza o, quanto meno, vicinanza al protagonista di questa storia.
5. Una questione di stile
Ci sono scrittori che riconosceremmo fra mille. Perché? Perché hanno uno stile o, se si vuole, una maniera di raccontare le cose come solo loro sanno fare.
Non è il caso di scimmiottare (peraltro, per quanto bravi, lo faremmo sempre male) i vari Shakespeare, Hemingway o la contemporanea Nothomb, invece è più sensato trovare la propria strada.
Tutti abbiamo un modo di parlare che ci contraddistingue. Gli intercalari, le ripetizioni oppure i modi di dire che usiamo con maggiore frequenza, possono rendere originali anche le cose che scriviamo.
Per l’appunto, usava dire tutte le volte che voleva contestare qualcosa o qualcuno. Si è guastato l’ascensore. E lui, lo andava dicendo da giorni che si sentiva uno strano rumore. Per l’appunto.