Probabilmente l’ha già detto qualcuno, ma la cosa che apprezziamo di più negli esseri umani è un relativo grado di imperfezione.
Certo, quando scegliamo un computer, una macchina fotografica, un’automobile ricerchiamo la precisione assoluta o, almeno, le stesse prestazioni reclamizzate dalla pubblicità. Con gli esseri umani è diverso. Quando ci va di mezzo l’espressività, non solo la perfezione è impossibile, ma sarebbe addirittura deleteria ai fini di una comunicazione efficace.
[bctt tweet=”C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce. (Leonard Cohen)”]
Si spiega così il successo di un fenomeno di costume come il karaoke. Il brano originale, perfezionato e “ripulito” in sala di registrazione, manca di quella suggestiva imprevedibilità che solo l’esecuzione “dal vivo” può riservare. Questa esibizione musicale, ancorché dilettantistica, condivide molti punti in comune con la comunicazione interpersonale. Si pensi, ad esempio, alle tecniche persuasive per parlare in pubblico o, per altri versi, alla scrittura “calda” sui social media. Tutte forme di comunicazione in cui un discreto margine di imprecisione distingue un essere vivente da una macchina.
[bctt tweet=”Senza imperfezione né io né voi esisteremmo. (Stephen Hawking)”]
Non sto parlando di vistose svirgolate sui congiuntivi, di mancanza dei fondamentali culturali o di forme più o meno celate di maleducazione, mi riferisco alla verità insita nel comportamento disarmonico. La precisione assoluta, che comunque non esiste, porta alla staticità, alla durezza, alla freddezza. Al contrario, lo scarto dalla linearità attesa garantisce quello spazio vitale (è il caso di dirlo) in cui agisce la ricerca fondamentale della libertà. E come sappiamo, la libertà è il presupposto fondamentale della bellezza.
È perfetto, ma manca di personalità
L’avremo sentito dire un milione di volte e negli ambiti più disparati. La comunicazione che arriva al cuore è una via di mezzo fra perfezione e imperfezione. Un espediente comunicativo non così perfetto da apparire meccanico, tanto meno zeppo di errori da essere assolutamente inefficace. Immagino una sorta di perfetta imperfezione, quel tanto che basta perché il coinvolgimento possa dirsi autentico.
[bctt tweet=”La vita umana è un istante imperfetto. (Franz Kafka)”]
Giusto per non generare un pericoloso equivoco, non sto facendo l’apologia deliberata dell’errore e nemmeno è mia intenzione consigliare il massimo dell’impreparazione ogni qualvolta dobbiamo parlare in pubblico. La preparazione e lo studio sono indispensabili, così come è irrinunciabile l’obiettivo di raggiungere l’eccellenza.
[bctt tweet=”Non aver paura della perfezione. Non la raggiungerai mai. (Salvador Dalì)”]
La prestazione perfetta non esiste
Una volta che avremo placato l’ansia da “prestazione perfetta”, peraltro umanamente impossibile da raggiungere, potremo rilassarci e liberare tutta la nostra naturalezza.
Commetteremo degli errori. Alcuni di questi non verranno notati dal pubblico e dovremo farci i conti solo noi, altri, più grossolani, ci costringeranno a reagire. Quando succede, e succede, conosco solo un modo per affrontare adeguatamente la situazione: onestà e buon umore.
Come una regola di natura, siamo ossessionati dalla ricerca della regolarità, ma in fondo ci innamoriamo perdutamente unicamente di quelle piccole imprecisioni che solo un buon occhio attento riesce a scovare. Per questo, mi piace pensare a una sorta di esclusività dell’imperfezione.
Siamo esseri umani e pertanto fallaci. Pur tuttavia, la gente che è venuta ad ascoltarci non vuole la nostra perfezione, vuole solo essere rapita dalla nostra umanità.
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Considerazioni elaborate da alcuni filosofi.
Guido “Se l’universo è sempre in movimento, ed è in evoluzione, e noi ne facciamo parte, è evidente che la perfezione non esiste, lo si evince dalla sua stessa mutazione”.
Tory “La perfezione sta di fatto, in un concetto imperfetto”.
(un dialogo di un mio romanzo)